Arena di Verona

L'Arena di Verona è un anfiteatro romano situato nel centro storico di Verona, icona della città veneta assieme alle figure di Romeo e Giulietta. Si tratta di una delle grandi fabbriche che hanno caratterizzato l'architettura ludica romana.

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L'Arena di Verona è un anfiteatro romano situato nel centro storico di Verona, icona della città veneta assieme alle figure di Romeo e Giulietta. Si tratta di una delle grandi fabbriche che hanno caratterizzato l'architettura ludica romana.

Durante il periodo estivo viene utilizzato per il celebre festival lirico e vi fanno tappa numerosi cantanti e band.

Storia

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Controversie sulla data di costruzione

La mancanza di fonti scritte circa l'inaugurazione dell'anfiteatro rende molto difficile fornire una cronologia sicura, tanto che in passato, da diversi studi, sono emerse date molto differenti, un periodo di tempo che va dal I al III secolo, anche se ormai è dimostrato che non può essere stato costruito dopo il I secolo. Lo storico Pirro Marconi propendeva in particolare per la costruzione tra il secondo ed il terzo decennio del I secolo, cioè tra la fine del periodo augusteo e l'inizio di quello tiberiano, mentre più recentemente Luigi Beschi propendeva per la metà dello stesso secolo.

Per datare l'Arena la si può confrontare con l'anfiteatro di Pola, dato che quest'ultimo è il più simile a quello veronese, sia per l'aspetto stilistico che per quello tecnico, ed inoltre appartiene alla stessa area geografica e culturale: le somiglianze sono tali da far pensare che i due siano opera dello stesso architetto e delle stesse maestranze. Per l'anfiteatro di Pola in genere la costruzione viene datata nel periodo augusteo, per cui è probabile che l'Arena sia stata realizzata all'incirca negli stessi anni.

Altri elementi per una datazione vengono forniti dalla testa di un gladiatore a grandezza naturale, realizzata in tufo: la testa è racchiusa in un elmo nel quale si aprono due fori rotondi, dai quali si intravedono gli occhi. La celata è costituita da due parti che si uniscono esattamente nella metà del viso: queste paragnatidi partono all'altezza delle orecchie abbastanza sottili ma si ampliano fino a coprire tutto il viso, tranne gli occhi. Esse sembrano tenute insieme tramite due corregge incrociate sotto il mento. Questo tipo di elmo si diffonde alla fine dell'età augustea, ovvero circa tra il 10 ed il 20 d.C., e già dopo il 40 questo tipo di elmo si modifica ancora: questo riduce l'arco di tempo in cui può essere stato costruito l'anfiteatro, tra la fine del regno di Augusto fino all'inizio di quello di Claudio. Considerando che le statue venivano realizzate alla fine della costruzione dell'edificio si può supporre che l'Arena fosse già completa verso il 30 d.C., come conferma lo storico Pirro Marconi. Oltre all'elmo anche altre decorazioni sembrano portare a questo periodo la datazione della costruzione dell'anfiteatro.

Storia antica

Per approfondire, vedi la voce Storia di Verona romana.

fece includere l'Arena nella nuova cinta muraria.]]

La storia dell'anfiteatro nell'antichità è per lo più sconosciuta, anche se in parte si può trarre da alcuni fatti che coinvolsero Verona. La città fu coinvolta nella guerra fra Vitellio e Vespasiano: quest'ultimo, infatti, scelse la città come fortezza, perché attorniata da campi aperti in cui poteva utilizzare la cavalleria. La cinta muraria cittadina era però ormai inservibile, proprio per la presenza dell'anfiteatro poco fuori dalle mura, costruito in epoca di pace, per cui decise di costruire un vallo e di far scavare l'Adigetto (un lungo fossato, utilizzato anche nel Medioevo) a sud della città. La realizzazione di quest'opera è dunque la conferma che nel 69 d.C. l'anfiteatro era già stato costruito.

L'imperatore Gallieno fu impegnato in lunghe guerre per fermare le invasioni barbariche del III secolo, durante le quali utilizzò Verona nella sua nuova tattica di difesa elastica, che vedeva i capisaldi nelle città di Milano, Verona e Aquileia. Decise quindi di allargare le mura della città, ed in soli sette mesi, nel 265, costruì 1.300 metri di mura, in cui incluse finalmente l'Arena risolvendo il problema della sua posizione dominante rispetto alle mura di epoca repubblicana, come è attestato dalla scritta sull'architrave di Porta Borsari. Nel 1874 Antonio Pompei compì degli scavi attorno all'Arena nel corso dei quali si riportarono alla luce le fondazioni delle mura di Gallieno, che correvano a 5 metri dall'anfiteatro. Si scoprì pure che le mura tagliavano i collettori per lo scarico delle acque piovane, anche se l'Arena poté ancora essere utilizzata per gli spettacoli in quanto si fece realizzare una soluzione alternativa: un grande pozzo centrale, la cui esistenza è stata scoperta nel XVIII secolo. Lo scolo delle acque doveva risultare comunque meno efficiente, e da questo periodo inizia così la fase di decadenza dell'Arena. , le mura più a destra erano quelle che inglobavano l'anfiteatro, che però non è visibile.]]

È possibile, anche se non vi sono prove certe, che l'anfiteatro fosse utilizzato anche per il martirio dei cristiani, e il Maffei ipotizza che proprio qui vennero martirizzati i santi Fermo e Rustico nel 304, nella stessa occasione in cui il vescovo Procolo chiese di essere martirizzato ma fu invece deriso e allontanato perché vecchio.

Nel 312 Verona tornò ad essere protagonista nella guerra tra Costantino e Massenzio, quando quest'ultimo si asserragliò dentro Verona e l'esercito costantiniano venne ad assediarlo: l'assalto avvenne proprio all'altezza dell'anfiteatro, che funse per gli assediati da bastione, dato che era molto più alto delle mura di Gallieno. Davanti all'anfiteatro si tennero due dei più importanti scontri di quella campagna: la sortita degli assediati, che permise a Ruricio Pompeiano di andare a cercare rinforzi, e la battaglia notturna, in cui Costantino fu preso su due fronti, da quello degli assediati e da quello dei soccorsi, anche se riuscì comunque a vincere. Di questa battaglia vi sono due descrizioni, una in un panegirico a Costantino, ed una in un rilievo dell'arco di Costantino, in cui compare la città di Verona sotto assedio: nel rilievo quadrato, sulla sinistra, c'è Costantino protetto da una guardia e coronato dalla Vittoria, mentre sulla sua destra l'esercito attacca la città mentre gli assediati lanciano frecce e giavellotti dalle mura e dalle torri della città. La parte di cinta muraria più a destra, dove mancano le finestre del piano inferiore, era probabilmente quella che inglobava l'Arena.

Con l'affermazione del Cristianesimo vi fu l'abbandono dei giochi gladiatori, e l'inefficienza degli organismi pubblici nella conservazione del monumento fu un'ulteriore spinta verso il suo abbandono.

I ludi

I documenti che parlano degli spettacoli dentro l'anfiteatro veronese sono pochi, in particolare l'unico documento letterario giunto fino a noi è una lettera di Plinio il Giovane:

(LA)
« C. PLINIUS MAXIMO SUO S.
Recte fecisti quod gladiatorium munus Veronensibus nostris promisisti, a quibus olim amaris suspiceris ornaris. Inde etiam uxorem carissimam tibi et probatissimam habuisti, cuius memoriae aut opus aliquod aut spectaculum atque hoc potissimum, quod maxime funeri, debebatur. Praeterea tanto consensu rogabaris, ut negare non constans, sed durum videretur. Illud quoque egregie, quod tam facilis tam liberalis in edendo fuisti; nam per haec etiam magnus animus ostenditur. Vellem Africanae, quas coemeras plurimas, ad praefinitum diem occurrissent: sed licet cessaverint illae tempestate detentae, tu tamen meruisti ut acceptum tibi fieret, quod quo minus exhiberes, non per te stetit. Vale. »
(IT)
« Gaio Plinio al suo Massimo.
Hai fatto bene a promettere ai nostri Veronesi uno spettacolo di gladiatori, i quali da molto tempo ti amano, ti rispettano e ti onorano. Di questa città era anche tua moglie, a te tanto cara, e così ricca di qualità. Era opportuno dedicare alla sua memoria qualche opera pubblica, od uno spettacolo: anzi meglio proprio uno spettacolo, che è quanto di più adatto vi sia per un funerale. In più esso ti veniva chiesto così insistentemente, che il negarlo non sarebbe apparsa fermezza, ma eccesso di rigidità. E mi congratulo con te ancora di più, perché nel concederlo sei stato aperto e generoso; anche così si da prova di magnanimità. Avrei voluto che le pantere africane, che avevi comprato in gran numero, fossero arrivate in tempo: ma, anche se ciò non è potuto avvenire per via del maltempo, hai meritato lo stesso la gratitudine, dato che non è stata tua la colpa se non si è potuti esibirle. Addio »
(Gaio Plinio Cecilio Secondo, )

Dalla lettera si può trarre che l'amico di Plinio ha offerto alla comunità veronese uno spettacolo di caccia, la venatio, come onoranza funebre per la moglie. Secondo Plinio questa scelta è particolarmente adatta per l'occasione, questo perché originariamente questi generi di spettacoli altro non erano che giochi funebri di origine etrusca o campana.

A Verona sono state inoltre ritrovate alcune iscrizioni funerarie di gladiatori morti combattendo nell'Arena. Quella che ci dà meno informazioni è una lapide mutilata che riporta la scritta [famil]ia gladiatoria. Una seconda iscrizione cita il secutor Aedonius che aveva combattuto a Verona otto volte prima di essere sconfitto, e quindi ucciso alla giovane età di ventisei anni. Un'altra iscrizione appartiene invece ad un reziario, un certo Generosus (nato ad Alessandria d'Egitto), che morì non in combattimento ma a letto. Costui combatté addirittura ventisette volte, per cui doveva essersi ritirato con una somma di denaro tale da bastargli per tutta la vita. Un'ulteriore iscrizione appartiene invece a Pardon, nativo di Dertonensis, e che morì durante l'undicesimo combattimento. L'iscrizione più interessante appartiene però ad un certo Glauco:

(LA)
« D(is) M(anibus)
Glauco n(atione) Muti
nensis pugna(rum)
(septem) (mortuus) octavia vixit
ann(os) (viginti tres) d(ies) (quinque)
Aurelia marito
b(ene) m(erenti) et amatores
huius. Planetam
suum
procurare
vos moneo. In
Nemese ne fidem
habeatis
sic sum deceptus
ave vale. »
(IT)
« Agli dei Mani di Glauco, modenese di origine. Combatté sette volte, morì l'ottava. Visse ventitré anni e cinque giorni. Aurelia dedicò questa tomba al caro marito, insieme ai suoi tifosi. Vi consiglio di prendere ciascuno il proprio oroscopo, e di non avere fiducia nella Nemesi: io me ne sono fidato, e ne sono stato ingannato nel modo che vedete. Addio, stai bene. »

Da quanto appare scritto Glauco fece voto per la sua salvezza a Nemesi, una delle divinità più venerate dai gladiatori. Egli avverte però chi legge l'iscrizione di farsi dire anche l'oroscopo, perché il suo voto non è bastato per avere salva la vita. Glauco, sulla cui iscrizione appaiono, tra l'altro, le raffigurazioni delle armi di un reziario (quasi sicuramente, quindi, doveva essere un gladiatore reziario), doveva essere stato un gladiatore di buona qualità, dato che l'iscrizione è stata realizzata anche grazie al contributo dei suoi tifosi.

In una casa di Verona, poco fuori le antiche mura romane, è stato scoperto un mosaico che ha come soggetto i giochi gladiatori, databile tra l'età flavia e l'inizio del II secolo. Il mosaico comprende un riquadro centrale: qui, entro cerchi, vi sono elementi geometrici, e tra questi delfini ed elementi vegetali. A margine di questi si trovano i pannelli con le raffigurazioni di gladiatori, in particolare i tre centrali. La funzione di questo mosaico è solamente decorativa, per cui è abbastanza improbabile che rappresenti dei giochi gladiatori tenutisi nell'anfiteatro di Verona, anche se sono presenti delle iscrizioni con nomi di gladiatori, probabilmente famosi gladiatori locali. Nel mosaico sono rappresentati il combattimento tra un reziario ed un secutor, con il reziario a terra e l'arbitro che si interpone tra i due. Sopra c'erano i nomi dei due gladiatori, quasi scomparsi, ed una V, che sta per vicit (ha vinto), e sopra il reziario ISS: manca sicuramente la M, per cui doveva esserci scritto MISS, abbreviazione di missus, cioè ebbe salva la vita. Nel pannello centrale c'è un trace e l'avversario (un mirmillone) a terra ed insanguinato. In questo caso l'arbitro alza il braccio del vincitore. Il nome del gladiatore sconfitto è in questo caso visibile, si tratta di Caecro. Nella terza scena vi è la vittoria di un reziario contro un altro gladiatore, che poggia lo scudo a terra in segno di resa.

A Verona è anche verificata l'esistenza di una caserma gladiatoria, grazie ad un'iscrizione conservata presso il museo lapidario maffeiano:

« [...]nis f(ilius) Po[b(lilia)]
Lucil(ius) Iustinus
equo publico
honorib(us) omnib(us)
municip(alibus) functus
[id]em in porticu quae
[d]ucit ad ludum public(um)
[c]olumn(as) (quattor) cum superfic(io)
[e]t stratura pictura
[v]olente populo dedit. »</div>

Ovvero Lucilius Iustinus aveva ottenuto importanti cariche e aveva donato alla città quattro colonne, con relativa superficie, pavimento e decorazioni, nel portico che conduceva al ludus publicus.

Storia medievale

da autore sconosciuto.]]

Ai Goti di Teodorico si deve probabilmente il restauro dell'anfiteatro veronese e l'organizzazione di alcuni spettacoli, da cui derivano le diverse cronache medievali che attribuiscono a Teodorico la costruzione dell'Arena:

« Nella medesima città costruì una grandissima casa, che assomiglia in modo sorprendente al teatro di Romolo. Qui si accede e si esce per una sola porta e si sale facilmente per gradini posti in cerchio, per quanto sia straordinariamente alta. Accoglie molte migliaia di uomini, che si vedono e si odono reciprocamente. Non vi è certezza sul suo fondatore, in quanto questo edificio ancora oggi è chiamato casa di Teodorico. »</div>
(Chronicon Gozecense, XII secolo.)

La maggior parte dei danni all'Arena furono recati da disastri naturali, tra cui l'inondazione dell'Adige del 589, il terremoto del 1116, il terremoto del 3 gennaio 1117 (quello che ha arrecato maggiori danni) e il terremoto del 1183, che fecero cadere la maggior parte della cinta esterna dell'anfiteatro. Sotto il regno di Berengario si svolsero le prime disastrose invasioni degli Ungari, che avevano obbligato i difensori a rafforzare le difese e a utilizzare l'Arena come fortezza. In quegli anni il vescovo di Verona Raterio realizzò la cosiddetta iconografia rateriana, in cui mostra Verona come si presentava nella metà del X secolo, con le chiese, le porte, i ponti e le mura. Inoltre ci mostra l'Arena di Verona con l'anello esterno ancora integro, e riporta alcuni versi che la descrivono:

(LA)
« De summo montis Castrum prospectat in urbem
daedalea factum arte viisque tetris
nobile, praecipuum, memorabile, grande theatrum,
ad decus extructum, sacra Verona, tuum.
Magna Verona, vale, valeas per secula semper
et celebrent gentes nomen in orbe tuum. »
(IT)
« Dalla sommità del colle il Castello guarda davanti a sé, verso la città,
fatto con arte degna di Dedalo, con gallerie buie,
il nobile, distinto, memorabile, grande teatro [l'Arena],
costruito a tuo decoro, sacra Verona.
Grande Verona, addio, vivi nei secoli sempre
e celebrino il tuo nome nel mondo tutte le genti. »
(Civitas Veronensis depicta o iconografia rateriana)

In particolari occasioni la cavea dell'Arena venne utilizzata impropriamente come cava di marmo per la realizzazione di nuove costruzioni, in particolare subito dopo l'incendio che colpì la città nel 1172, e solamente nel XIII secolo ci furono i primi tentativi di arrestare la distruzione dell'anfiteatro tramite alcuni restauri e degli impegni presi negli Statuti comunali del 1228.

Nel 1278 furono arsi sul rogo all'interno dell'Arena per volontà di Alberto I della Scala quasi 200 eretici patarini catturati a Sirmione dal fratello Mastino I della Scala, e fu sempre Alberto I della Scala a introdurre alcune regole sull'utilizzo dell'anfiteatro: nello statuto del 1276 si stabilisce che le prostitute potevano abitare esclusivamente nell'Arena, e nell'aggiunta del 1310 vi è l'ordine di tenere chiusa l'Arena e di multare chi avesse rotto le porte o soddisfatto i propri bisogni corporali all'interno. Questi due capitoli sembrano contraddirsi tra di loro: si parla di arcovoli abitati da prostitute e contemporaneamente della chiusura dell'Arena. Questa in realtà non è una contraddizione in quanto allora (e fino all'Ottocento) vi era una distinzione in due parti, quindi tra esterno (abitato), gli arcovoli, e interno (chiuso), la cavea. Vi furono comunque delle eccezioni, come nel 1382, quando si tennero al suo interno 25 giorni di festa e con giostre e spettacoli per le nozze di Antonio della Scala con Samaritana da Polenta.

Nel 1337 la città si trovava in debito per via di una guerra contro una lega antiveronese, così il Comune, con il consenso di Mastino II della Scala, cedeva all'Università dei Cittadini (così venne chiamato il consorzio di creditori del Comune) i redditi derivanti dall'affitto dell'Arena (il monumento sarebbe stato riscattato completamente solo nel 1586).

Storia moderna

Nel 1450, durante il dominio veneto, vennero compilati nuovi statuti aventi alcune disposizioni riguardanti l'Arena, e di particolare importanza è il seguente:

« Poiché nell'Arena si commettono molti delitti e la stessa Arena è un edificio memorabile, che porta onore alla città, per cui è da tenere pulito, si stabilisce che detta Arena debba essere tenuta chiusa e che le chiavi delle porte stiano nella massaria della città, presso il massaro; e se qualcuno romperà le porte o il muro sarà punito con un'ammenda di 25 lire, e con la stessa pena sia punito chiunque distrugga qualcuno dei gradini, o muova o faccia cadere qualche pietra per asportarla dall'Arena e sia tenuto a risarcire il danno a sue spese; e se qualcuno porterà e scaricherà carri di terra o fango od altro nell'Arena, o attorno ad essa, sia punito con un'ammenda di 100 soldi e sia tenuto a portar via a sue spese il materiale. I giurati delle contrade circostanti e quelli che stanno nell'Arena sono tenuti a sporgere le denunce e l'accusatore riceverà metà dell'ammenda. »</div>
(Statuti Veronesi, libro IV, cap. 56)

Inoltre nello stesso statuto viene confermata la disposizione che obbliga le prostitute a risiedere nell'Arena. Questo è il più antico documento ufficiale in cui l'edificio viene definito memorabile, e a partire da questo periodo i letterati iniziano la sua esaltazione, mentre la cultura rinascimentale spinge a un sempre più approfondito interessamento per essa con analisi critiche e storiche del monumento, studiato anche da personalità del calibro di Giovan Francesco Caroto e Andrea Palladio: architetti e artisti che cercarono anche soluzioni valide a garantire la conservazione dell'Arena.

Importante fu il riscatto di parte dell'ipoteca a vantaggio dell'Università dei Cittadini, grazie al quale nel 1537 si poté sancire l'allontanamento delle prostitute dagli arcovoli, che furono affittati ad artigiani e commercianti. A metà del XVI secolo Bra, la grande piazza su cui si affaccia l'anfiteatro, cominciò un lento processo di rinnovamento, così nel 1568 si deliberò il restauro dello stesso anfiteatro, che si trovava in condizioni di trascuratezza, anche se i lavori furono interrotti già nel 1575 per via della grave pestilenza che aveva colpito Verona. Nel 1586 il Comune poté finalmente riscattare interamente l'Arena dall'Università dei Cittadini.

Nel 1651 iniziarono dei lavori di restauro che vennero interrotti nel 1682, ma si ebbero altri interventi significativi nel 1694 e nel 1699, con il restauro parziale della gradinata. Nei primi anni del XVIII secolo le manutenzioni straordinarie vennero arrestate per poter iniziare opere di scavo archeologiche all'interno dell'Arena: le ricerche iniziarono nel 1710 con Ottavio Alecchi, che scoprì il pozzo centrale e il canale ellittico che fronteggia il primo gradino, che notò essere anticamente coperto da lastre di pietra aventi al centro, a distanza fissa, un foro circolare dal diametro di 7 cm. Nel 1728 Scipione Maffei pubblicò il testo Degli anfiteatri e in particolare del veronese all'interno del quale critica gli scavi nella cavea che ha alterato la configurazione originale interna del monumento. Per la stesura del lavoro il Maffei condusse un'attenta ricerca storica e un'indagine del monumento, anche attraverso scavi archeologici durante i quali si erano verificati alcuni ritrovamenti. I problemi archeologici che individuò furono:

  • la suddivisione della gradinata in meniani e in cunei;
  • il coronamento della parte superiore interna con una loggia;
  • la collocazione e l'altezza del podio che calcolò in 1,53 metri, quale fu poi ricostruito;
  • le funzioni dei condotti sotterranei, che nega possano essere stati utilizzati per allagare l'Arena;
  • il pozzo centrale, fino allora pensato come sostegno per il velarium, ma da lui pensato come sistema di scolo delle acque piovane.

Dal settembre 1728 al luglio 1729 si svolsero gli importanti lavori di sgombero dello strato di terra (120 cm) che ricoprivano il piano dell'arena, mentre dal 1731 al 1735 venne restaurata e consolidata l'Ala. I lavori poi ripresero con vigore solamente nel 1761, quando furono affidati i compiti di scavo, di rilevamento dell'ellisse, dell'euripio e del podio, oltre alla realizzazione di un modello fino al secondo ordine di vomitori per la giusta ricollocazione dei gradini per avviare la radicale revisione del lavoro precedentemente compiuto senza impegno critico. I lavori vennero interrotti nel 1772 per mancanza di fondi, ripresero quindi nel 1780 e si interruppero nuovamente tre anni dopo.

Le giostre e le cacce

Il 26 febbraio 1590 si tenne la prima giostra documentata all'interno dell'Arena, anche se l'ordinanza di tener chiusa la cavea non era ancora stata abolita, ma era in quel periodo lentamente caduta in disuso, anche se la sua utilizzazione era eccezionale e il cambiamento di tale stato si ebbe solo nel XVII secolo, quando si cominciò a dare in appalto anche l'interno dell'anfiteatro, oltre all'esterno. Il 29 maggio 1622 si tenne all'interno una grande giostra della quintana, il cui spettacolo fu descritto da alcuni cronisti in quanto vide la partecipazione di cavalieri non solo veronesi, ma anche foresti, alcuni addirittura dalla Svezia. Si ricorda un'altra giostra memorabile il 4 maggio 1654.

Lo spettacolo diurno all'interno dell'anfiteatro nel XVIII secolo divenne estremamente popolare.

Il 20 novembre 1716 si tenne nell'Arena l'ultima giostra, in onore del principe elettore di Baviera, organizzata da Scipione Maffei che si lamentava del fatto che i nobili veronesi non tenessero più giostre al suo interno. A partire da quell'anno, nei contratti d'appalto dell'interno dell'Arena, non si fa più riferimento a esercizi cavallereschi, quanto piuttosto a compagnie di comici e ballerini, che costruivano i palchi all'interno dell'arena. La prima esatta menzione di una recita è la Merope di Maffei, messa in scena nel luglio del 1713 dalla compagnia di Luigi Riccoboni. Assistette ad uno di questi spettacoli anche Carlo Goldoni, nel luglio del 1733, e ha lasciato nelle sue Memorie pure una descrizione dell'ambiente e dell'atmosfera, con i nobili e i facoltosi che sedevano su delle sedie, mentre il popolo sedeva sulle gradinate. Fra le attrazioni occasionali nel gennaio 1751 un rinoceronte la cui visione ammutolì tutti gli spettatori che non riuscivano a credere all'esistenza di un tale animale. Ma la forma più gradita di spettacolo era la caccia dei tori, in cui un toro (o in alcuni casi buoi) si misurava con dei cani addestrati da macellai. Nel settembre 1786 Goethe visitò Verona, poté così ammirare l'anfiteatro, primo importante monumento dell'antichità da lui visto, stupendosi che il popolare gioco del pallone non si tenesse al suo interno.

Storia contemporanea

dopo il livellamento generale eseguito nel 1820.]] dopo la realizzazione dei giardini centrali, creati nel 1873.]]

Nel 1805 Verona si trovava sotto il dominio francese, e il 15 giugno dello stesso anno Napoleone Bonaparte visitò l'anfiteatro, assistendo al suo interno alla caccia dei tori, e proprio in quell'occasione il governo stanziò dei fondi per il restauro del monumento: Luigi Trezza fu incaricato di studiare il piano dei lavori con l'obiettivo di collocare i gradini mancanti, di restaurare il podio, le volte più compromesse, di restaurare le scale che portavano al primo e al secondo ordine di vomitori e le scale maggiori che conducevano al terzo ordine di vomitori, e infine di stuccare le gradinate. Trezza ideò uno stucco per le fessure che sarebbe stato utilizzato fino al 1825, un impasto di calce viva, mattoni pestati e limatura di ferro.

Il 1º gennaio 1807 venne istituita la Deputazione all'Ornato pubblico, la quale aveva tra i suoi compiti la conservazione dell'Arena, che nel 1816, in seguito al passaggio di Verona al regno Lombardo-Veneto, cambiò nome in Commissione all'Ornato. Nel 1817 furono condotti degli scavi all'esterno dell'anfiteatro per accertare la continuazione del canale allineato all'asse maggiore, che venne seguito fino a palazzo Ridolfi, come attesta un'iscrizione lì collocata, e si trovarono le fondamenta delle mura di Gallieno, che andavano a tagliare il canale.

Il 1820 fu un anno importante in quanto il comune decise lo sfratto dall'Arena delle abitazioni, concedendo 42 arcovoli a uso di magazzino. Lo sfratto di 36 affittuari fu il primo passo verso la bonifica del monumento e il suo integrale restauro. Lo sfrattò incontro una forte resistenza degli affittuari, che in alcuni casi vantavano un'occupazione secolare, passata da padre in figlio per generazioni. Lo stesso anno il podestà Da Persico incontrò l'imperatore austriaco Francesco I e gli indicò le esigenze del monumento, così, in seguito al contatto, il comune ricevette l'invito a realizzare un piano di lavoro. Il progetto riguardava specialmente la sistemazione esterna dell'anfiteatro, con la demolizione delle case troppo vicine a esso; inoltre furono decisi e eseguiti gli scavi lungo l'Arena, in modo da riportare alla luce la base della stessa, visto che era interrata di circa due metri per via del materiale che si era depositato in seguito alle numerose inondazioni che aveva subito la città fino alla costruzione dei muraglioni, ma anche un abbassamento del livello medio della Bra di circa 70 centimetri, seguendo una linea lievemente inclinata dalla Gran Guardia verso l'Arena, e si abbassò anche la quota del Liston. La piazza davanti all'Arena e l'Arena stessa assunsero quindi un nuovo aspetto: l'abbassamento del livello della piazza portò al recupero delle proporzioni del monumento, mentre la demolizione dell'ospedale della Misericordia Nuova, di quattordici numeri civici verso San Nicolò e dei forni militari addossati alle mura comunali diedero, insieme al completamento definitivo della Gran Guardia, più respiro e razionalità all'insieme.

Nel 1866 il Veneto passò al regno d'Italia, ma era ancora attiva la Commissione all'Ornato, che appariva però con il nome di Commissione al Civico Ornato, solo nel 1876 venne sostituito dalla Commissione consultiva conservatrice dei Monumenti, istituita in ogni provincia del regno. In questo periodo la personalità veronese più attiva nel campo dello studio dei problemi del restauro dell'anfiteatro era il conte Antonio Pompei, che tra il 1872 e il 1877 pubblicò alcuni saggi sull'Arena, nei quali mirava principalmente a ricostruire l'aspetto originario dell'anfiteatro. Diresse pure i lavori per la ristrutturazione del terzo ordine di vomitori, senza tuttavia dare un aspetto nuovo alla cavea, a causa di alcune incertezze sorte durante i lavori.

Una serie di importanti lavori furono condotti dalla Soprintendenza alle Antichità dal 1954 al 1960: vennero sgombrati e quindi recuperati tutti gli arcovoli che erano ancora occupati da magazzini e botteghe, con la demolizione di tutte le strutture non originarie, come solette divisorie e scale in legno, tetti interni con tegole, pareti di contromuratura. Alla demolizione delle sovrastrutture moderne seguì il consolidamento delle parti antiche. Nel 1955 furono sostituiti i circa cinquanta cancelli in legno con quelli in ferro tutt'ora presenti, ma fu l'anno successivo che si compì l'impegno più oneroso: venne restaurata e consolidata l'Ala con la liberazione dai barbacani realizzati nel 1940, grazie al sistema della post-tensione, che prevedeva l'inserimento di cavi d'acciaio dal diametro di 5 mm inseriti nei fori praticati dall'alto, fori poi riempiti da cemento 500 liquido a pressione. Dal 1957 al 1959 furono restaurate le rampe inferiori di quattro scale interne, venne realizzata con ciotoli la pavimentazione degli arcovoli, mentre negli ambulacri vennero collocate le corsie centrali di camminamento in pietra, si pulirono i condotti sotterranei e il grande pozzo centrale, venne restaurato l'intero anello esterno e furono sigillate le fessure fra i gradini della cavea. Nel 1960 venne demolita la vecchia copertura della fossa centrale e venne realizzata una nuova soletta, e nello stesso periodo venne realizzata la ringhiera in ferro che gira lungo l'ultimo gradino per proteggere gli spettatori, la cui realizzazione andò incontro a diversi contrasti.

Gli spettacoli e la lirica

Per approfondire, vedi la voce Festival lirico areniano.

di Giuseppe Verdi in Arena, presentata per la prima volta nel 1913 per celebrare il centenario della nascita dell'artista.]] .]]

La caccia dei tori è all'inizio dell'Ottocento ancora popolare, tanto che mostra di gradirla pure Napoleone Bonaparte, che la ammirò il 15 giugno del 1805. Più tardi, lo stesso anno, l'Arena venne utilizzata come campo di concentramento per i prigionieri austriaci, che demolirono il palco per le commedie per farne legna da ardere. Nel novembre 1807 Napoleone, che era nuovamente a Verona, andò a vedere i momenti iniziali di un'altra caccia dei tori.

Nel maggio 1815, in occasione del ritorno di Verona all'impero austriaco e della visita dell'arciduca Heinrich Johann Bellegarde, viceré del regno Lombardo-Veneto, vi fu una caccia dei tori e alla fine dello spettacolo la distribuzione di granturco ai più poveri: si era soliti, infatti, abbinare divertimento e beneficenza. Nel marzo dell'anno successivo, per festeggiare l'imperatore Francesco I e sua moglie Maria Ludovica, si sostituì alla barbara caccia dei tori una corsa dei fantini, preceduta dalla distribuzione, anche in questo caso, di granturco ai poveri, esposto in carri al centro dell'anfiteatro che furono poi avviati alle parrocchie.

Il 24 novembre 1822, conclusosi il congresso di Verona, si tenne nell'Arena una grande coreografia con preludio lirico. Il testo, intitolato La Santa Alleanza, fu opera di Gaetano Rossini mentre la musica venne composta da Gioachino Rossini, che diresse la sua esecuzione: all'inizio dello spettacolo il Fato con un cenno faceva apparire da quattro direzioni quattro carri, di Minerva (circondata dalle raffigurazioni allegoriche delle arti, dell'abbondanza e della felicità), di Cerere (circondata dalle ninfe e dal commercio), di Nettuno (con i geni marittimi) e di Marte (circondato dalla forza, dal valore e da guerrieri). Venivano eseguite contemporaneamente quattro diverse danze mentre i carri giravano in circolo, in modo che tutti gli spettatori potessero assistere allo spettacolo. L'ultimo quadro era formato da un'esibizione d'insieme attorno alla statua della Concordia.

Nell'Ottocento furono molto apprezzate la gare di equitazione e le gare velocipedistiche, gli spettacoli di ascensione con aerostato, gli esercizi ginnici acrobatici, la commedia e il gioco della tombola: le più celebri quella del 1838 a cui partecipò anche l'imperatore Ferdinando I, quando la parte più bella dello spettacolo si ebbe con l'apertura di migliaia di ombrelli di tutti i colori per un acquazzone, e quella del 1857 a cui partecipò l'imperatore Francesco Giuseppe, che assistette al popolarissimo spettacolo con l'estrazione della tombola e dell'albero della cuccagna. La musica di Gioachino Rossini tornò nell'Arena solo il 31 luglio 1842 dopo che dieci giorni prima aveva avuto successo nel teatro Filarmonico. La prima stagione lirica si ebbe però nel 1856 quando furono eseguiti Il Casino di Campagna e La fanciulla di Gand di Pietro Lenotti e Le convenienza teatrali e I pazzi per progetto di Gaetano Donizetti. L'Arena si preparava ad assolvere pure compiti civili, come il 16 novembre 1866, quando vi si tenne la festa per l'annessione del Veneto al regno d'Italia alla presenza di Vittorio Emanuele II. Dopo il 1866 Verona rimase città militare, ma l'esercito si mostrò più vicino al popolo, tenendo a volte nel monumento lo spettacolo del carosello. Inoltre la prima domenica di giugno per la festa dello statuto albertino si teneva uno spettacolo pirotecnico.

Gli spettacoli più di successo nel primo decennio del Novecento fino all'Aida del 1913, che aprì ufficialmente la stagione lirica in Arena, furono gli spettacoli circensi. Dal 1913 l'anfiteatro veronese divenne il più grande teatro lirico all'aperto del mondo e, con tale utilizzazione, venne così salvata l'esigenza di conservare il carattere di ambiente per spettacoli popolari, tutelando allo stesso tempo la dignità del monumento. Inoltre tornarono più volte al suo interno gladiatori, belve e persecuzioni di cristiani per la realizzazione di film storici.

L'anfiteatro nel contesto urbano del suo tempo

Per approfondire, vedi la voce Urbanistica di Verona romana.

L'anfiteatro veronese sorse a circa 70–80 m dalle mura repubblicane della città, di fronte all'angolo formato dalla cinta cittadina a meridione. Questo evidenzia il fatto che non era stato previsto nel progetto originario della città, come ad esempio il theatrvm veronae, anche perché la metà del I secolo a.C. (quando venne rifondata la città all'interno dell'ansa dell'Adige), fu un periodo di guerre civili, e non era quindi realistica la costruzione di un edificio tanto imponente vicino alle mura della città, che avrebbe indebolito, se non addirittura reso inutile, il sistema difensivo: si conclude quindi che l'opera venne costruita in un periodo di pace, che coincide quasi sicuramente con l'inizio dell'età imperiale. A prova di questo, nel III secolo, in un periodo di crisi, anarchia militare e di invasioni barbariche, l'imperatore Gallieno sentì il bisogno di costruire una nuova cinta muraria che includeva anche l'Arena.

Il fatto che l'opera venne costruita esternamente alle mura significa che lo spazio interno era stato ormai quasi completamente edificato. Questa caratteristica, inoltre, impose anche la rivisitazione della viabilità, dato che nell'anfiteatro affluivano decine di migliaia di persone, provenienti dalla città, dall'agro e dai centri vicini, e avrebbero intasato le porte che conducevano ad esso (tra l'altro la via Postumia, che entrava a porta Borsari, era una strada già molto trafficata): vennero quindi rifatte porta Leoni e porta Borsari, e vennero probabilmente creati due nuovi sbocchi minori all'altezza dell'anfiteatro. L'orientamento di quest'ultimo, inoltre, rende particolarmente evidente il collegamento con la città, nonostante sia stato costruito postumo: esso è in asse con il reticolo urbano, in particolare l'asse maggiore è parallelo ai cardini, mentre l'asse minore è parallelo ai decumani. Questo orientamento parallelo a quello della città si spiega principalmente con la necessità di collegare le fognature dell'anfiteatro con il sistema cittadino.

Da notare, inoltre, che la posizione esterna alla cinta muraria consentiva un afflusso facilitato da parte dell'agro e da altre città. Gli spettacoli si tenevano a distanze abbastanza lunghe gli uni dagli altri, dato il loro alto costo, per cui era normale che arrivassero anche abitanti di altre città ad assistervi.

Iscrizioni

Nelle vicinanze dell'anfiteatro sono state trovate alcune iscrizioni che non possono che appartenere ad esso, date le grandi dimensioni. Tra queste una indecifrabile riporta le lettere S CON, mentre un'altra pare essere la dedica dell'anfiteatro, in quanto riporta le lettere [...] ET DEDIT. Un'iscrizione rinvenuta completa è invece la seguente:

« Nomine
Q(uinti) Domini Alpini
Licinia mater
signum Dianae et venatoriem et salientes t(estamento) f(ieri) i(ussit) »</div>

Vi è scritto che una ricca signora lasciò in eredità, in nome del figlio, una somma per innalzare una statua a Diana, per realizzare uno spettacolo di caccia nell'Arena (una venatio) e dei salientes, che potrebbero essere dei condotti per l'acqua o delle fontane, sempre comunque nell'anfiteatro.

È stato rinvenuto, inoltre, uno degli originari gradini dell'Arena, in cui è iscritto il numero di posto, cioè I / LOC(US) IIII, LIN(EA) I, ovvero cuneo primo, gradino quarto, posto primo.

Architettura

L'elemento base della pianta dell'anfiteatro è costituito dall'ellisse dell'arena (lo spazio centrale in cui si svolgevano gli spettacoli), che fu quasi sicuramente tracciata sul terreno all'inizio dei lavori: il perimetro esterno dell'anfiteatro si ottenne poi tracciando una linea concentrica a quella dell'arena. Questa ellisse base venne ottenuta con quattro cerchi, di cui i due minori (posti lungo l'asse maggiore) ottenuti suddividendo il semiasse maggiore in cinque parti di 25 piedi l'una, due delle quali altro non sono che il raggio preso all'estremità dello stesso asse maggiore. La curva maggiore invece ha un raggio di sette parti da 25 piedi, con il centro all'estremità del prolungamento esterno.

L'arena misura 75,68 m x 44,43 m, ovvero 250 x 150 piedi romani, dunque una cifra tonda, a conferma della semplicità del modulo base utilizzato, con un rapporto tra asse maggiore e asse minore di 5 a 3. La cavea è invece larga 39,40 m, ovvero 125 piedi, mentre il diametro totale è di 152,43 m x 123,23 m, ovvero 520 x 420 piedi romani.

L'anfiteatro sorgeva su di una lieve prominenza artificiale (mentre oggi si trova sotto il normale livello stradale), e le sue fondazioni erano costituite da una platea in opera cementizia. Tra l'anello più esterno e la base del podio vi è un dislivello di 1,60 m. Il drenaggio delle acque, molto importante per un'opera di tali dimensioni, era assicurato da tre cloache anulari poste sotto il pavimento di altrettante gallerie concentriche, che non erano altro che la struttura portante del primo piano. Altre due cloache erano poste lungo gli assi maggiore e minore della struttura, e portavano le acque di scarico fino all'Adige (tra l'altro, una di queste è stata esplorata per circa cento metri). Questo sistema di fogne era molto efficiente, anche per via delle grandi dimensioni: l'altezza si mantiene costantemente sui due metri. Esse furono costruite con tratti di muratura a ciottoli legati con malta, e alternati a file orizzontali di tre mattoni, mentre grandi lastre di pietra fungono da copertura. Una tecnica simile era stata utilizzata per la messa in opera dell'impianto fognario cittadino.

Struttura esterna

L'aspetto del monumento è oggi piuttosto diverso rispetto a quello originale, in particolare per via della mancanza dell'anello esterno, che sarebbe stata la vera facciata monumentale, compito oggi svolto dalla fronte interna. L'unico tratto rimasto in piedi della cinta esterna è la cosiddetta Ala, composta da quattro archi. Questo anello non aveva una funzione importante, ma serviva da facciata monumentale all'opera: le sue arcate riflettevano esattamente gli ambienti vuoti sottostanti la cavea, mentre gli enormi pilastri riassumevano e ultimavano le linee di forza che provenivano dall'interno. La sovrapposizione di tre ordini di arcate rendeva esplicita all'esterno l'esistenza delle due gallerie e del porticato superiore, mentre gli architravi concludevano le volte delle gallerie interne. In questo modo i complessi volumi interni trovano all'esterno un'espressione estetica e spaziale.

I collegamenti tra facciata e la costruzione retrostante sono dati solo dalle fondamenta comuni e dalle volte a botte della terza galleria e di quella soprastante. La facciata è composta da tre ordini sovrapposti di arcate, realizzata interamente con blocchi ben squadrati di una pietra molto comune nella provincia di Verona, il calcare rosso ammonitico. Le arcate del primo ordine sono alte 7,10 m, quelle del secondo 6,30 m, mentre quelle del terzo 4,50 m: questa disposizione delle altezze accentua, se visto dal basso, l'impressione dello slancio verticale. I pilastri del primo ordine sono larghi 2,30 m e profondi 2,15 m (quindi quasi quadrati), e su di essi una lesena si conclude con un capitello di ordine tuscanico, al livello della cornice. Gli archi si appoggiano su due semicapitelli, e si concludono sul lato della lesena, poco sopra la sua metà. Al di sopra dei capitelli tuscanici si trova una fascia di blocchi che, sopra ogni arcata, portano il numero di ingresso (oggi sono presenti quelli dal LXIV al LXVII, anche se attorno all'anfiteatro sono disposti altri blocchi con la numerazione), quindi un secondo fascio di blocchi uguali al precedente, che sostengono la cornice superiore. Dato che le arcate, e quindi gli ingressi, erano 72, considerando la numerazione di quelli superstiti dell'Ala si può evincere che il numero I doveva essere quello dell'ingresso ovest, a conferma della maggiore importanza di quel settore. La numerazione degli ingressi procedeva in senso antiorario.

Il secondo ordine della facciata è praticamente uguale al primo, se si esclude la minore altezza. Nel terzo ordine vi è invece qualche piccola differenza: i capitelli sono sempre di ordine tuscanico, però sono assenti le lesene, mentre la cornice è costituita da una trabeazione conclusa da un fregio ed un'ulteriore cornice. All'interno si trovavano poi delle mensole utilizzate per sostenere le travi del portico, e certamente non per sostenere il velario, come hanno pensato alcuni studiosi (anche perché con il suo enorme peso le mensole avrebbero potuto sostenerlo solo se poste esternamente).

L'utilizzo dello stesso ordine in tutti gli ordini è tipico di altri anfiteatri, come quello di Nîmes o di Pola.

Struttura interna

Partendo dall'interno dell'anfiteatro e muovendo lungo l'asse delle gallerie si trovano un massiccio in opera cementizia a 6,80 m dal margine esterno della cavea e quindi la prima galleria, larga 3 m ed alta 3,60 m, seguita dopo 11,18 m dalla seconda, larga 3,30 m ed alta 9,10 m, ed quindi la terza galleria a 14,45 m dalla seconda, larga 4,30 m ed alta 8,15 m. Sopra la galleria più esterna ne sorgeva un'altra (delle stesse dimensioni), che, a sua volta, reggeva il portico della cavea.

Queste tre gallerie concentriche andavano a formare quattro settori. Partendo sempre dall'interno, tra l'arena e la prima galleria è presente il primo ordine di gradinate, il maenianum. Il primo corridoio anulare, detto praecinctio, poggiava sulla volta della prima galleria, e separava il secondo ordine di gradinate, tra prima e seconda galleria. Sopra la volta della seconda galleria vi era quindi il secondo corridoio anulare, che separava il secondo dal terzo ordine di gradinate. A questo punto le scale che portano ai vomitori hanno un andamento più complesso ed iniziano ad incrociarsi. Vi era quindi un terzo corridoio anulare che separava terzo e quarto ordine di gradinate. Dopo si alzava un portico, in corrispondenza della galleria più esterna, il cui tetto poggiava sul colonnato antistante la cavea da una parte, e su delle mensole (ancora visibili sull'Ala) dall'altra.

L'ingresso più monumentale dell'anfiteatro è posto ad ovest dell'edificio, quindi verso porta Borsari e la via Postumia: qui la volta centrale è alta il doppio delle altre e giunge fin sotto le gradinate della cavea. Il settore ovest doveva quindi essere il più importante, come sembra confermare anche la diversa disposizione delle scale d'accesso rispetto al settore est: nel primo settore (quello ovest) gli ambienti sono simmetrici, in questo modo i corridoi sono realizzati rettilinei e conducono dunque gli spettatori direttamente agli ordini inferiori delle gradinate, mentre nel settore est i corridoi sono piuttosto irregolari, e la maggior parte delle persone veniva incanalato verso gli ordini di gradinate superiori. Al contrario, nel settore ovest la maggior parte degli ospiti era incanalato verso gli ordini inferiori. Inoltre, dall'ingresso monumentale, entrava probabilmente la processione che inaugurava i giochi.

Tecniche e materiali di costruzione

I materiali utilizzati per la costruzione del monumento sono omogenei in tutta la struttura, segno che ha subito solo ristrutturazioni limitate, grazie alla solidità della sua struttura. Le gradinate devono essere state invece restaurate più volte, per via dell'usura continua a cui sono sottoposte. Per di più l'utilizzo dell'anfiteatro come cava di materiali per lungo tempo e il grande restauro rinascimentale hanno eliminato la struttura originale delle gradinate della cavea, in particolare sono scomparsi i corridoi che separavano i vari settori ed è reso difficile ricostruire l'esatta posizione delle 64 scalette d'accesso, comunque ancora tutte presenti.

La facciata esterna ed i pilastri sono stati realizzati con pietra da taglio, nel particolare Rosso Ammonitico, una pietra calcarea molto diffusa nel veronese. Le murature interne sono state realizzate a sacco, con paramento di opera mista di mattoni e ciottoli: in pratica ricorsi alternati di ciottoli abbastanza grossi e selci, e tre file di mattoni, questi ultimi pedali o sesquipedali (cioè di un piede e mezzo), di colore rosso scuro e spessi circa 8 cm, mentre la malta è spessa circa 1 o 2 cm. Con questa tecnica sono realizzati soprattutto gli ambienti vicini agli ingressi. Altre murature sono state invece realizzate a getto di materiale cementizio dentro casseforme di legno, e costituiscono la maggior parte della struttura dell'anfiteatro. I pilastri in pietra veronese sono invece la struttura portante dell'edificio, e fu probabilmente la prima opera ad essere stata eseguita. Le volte sono in opera cementizia di malta e ciottoli, gettati su casseforme di legno, le cui tavole sono ancora visibili.

La tecnica di realizzazione è standardizzata, cioè uguale in tutto l'edificio, ed i materiali utilizzati sono abbastanza poveri e senza decorazioni, anche se non mancavano certamente le statue, di cui alcune, rinvenute durante degli scavi, sono custodite presso il museo archeologico al teatro romano.

Le cloache furono costruite ad opera mista, con tratti di muratura a ciottoli legati con malta, e alternati a file orizzontali di tre mattoni. Collegato alle cloache, al centro dell'arena vi è un ambiente sotterraneo, largo 8,77 m e lungo 36,16 m, il cui uso rimane sconosciuto.

Capienza

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Nel momento della costruzione dell'anfiteatro si tenne conto della popolazione presente a Verona, nel contado, ma anche nelle città vicine, dato che gli spettacoli richiamavano spesso molte persone. Si tenne conto certamente anche dello sviluppo demografico futuro, e questo perché la costruzione di una tale opera era molto dispendiosa, e si doveva evitare di dover costruire un secondo edificio (come successe per esempio a Pozzuoli) o di dover ampliare quello già esistente (come a Pola) per errori di calcolo. La capienza è stata calcolata recentemente per gli spettacoli estivi dell'Arena in 22.000 persone, però bisogna tenere conto che, oggi, il palcoscenico occupa circa un terzo dei posti, e che non è più presente il portico nella parte più alta della cavea, per cui si può parlare molto realisticamente di circa 30.000 posti.

Leggende

Nel corso del tempo ci sono state varie leggende circa l'origine dell'Arena: per un certo periodo nel Medioevo si raccontò che un gentiluomo veronese, accusato di un crimine cruento per il quale era stato condannato a morte, pur di avere salva la vita promise ai capi della città che avrebbe costruito in una sola notte un immenso edificio in cui si potessero svolgere spettacoli: per adempiere alla promessa promise l'anima al demonio, che si impegnò a compiere il lavoro nelle ore tra l'Avemaria della sera e quella del mattino. La notte tutti i diavoli dell'Inferno si riunirono a Verona per compiere l'opera immensa, ma al mattino, alla prima nota dell'Avemaria, risprofondarono tutti sottoterra lasciando la costruzione, sebbene a buon punto, incompleta: da qui sarebbe l'origine dell'Ala.

Secondo altre leggende medioevali sempre al demonio sarebbe attribuita la sua costruzione per via della enorme mole, per la quale pareva impossibile che esseri umani avessero potuto costruirla. In altre leggende sarebbe stata fatta costruire da Re Teodorico, probabilmente perché fece restaurare l'anfiteatro e vi fece tenere numerosi spettacoli.

Bibliografia

  • Saverio Dalla Rosa, Della origine dell'Anfiteatro di Verona, Verona, Tipografia Bisesti, 1821. (ISBN non disponibile)
  • Scipione Maffei, Descrizione dell'anfiteatro di Verona tratta dalla Verona illustrata di Scipione Maffei con l'aggiunta delle cose piu osservabili della stessa città, Verona, Tipografia di G. Sanvido, 1841. (ISBN non disponibile)
  • Pietro Buodo, Intorno all'anfiteatro di Verona: memoria e storico nota critica riguardante sua origine, Verona, Frizierio, 1857. (ISBN non disponibile)
  • Tullio Lenotti, L'Arena di Verona, Verona, Edizioni di Vita Veronese, 1954. (ISBN non disponibile)
  • Filippo Coarelli e Lanfranco Franzoni, Arena di Verona: venti secoli di storia, Verona, Ente autonomo Arena di Verona, 1972. (ISBN non disponibile)
  • Gregori Gian Luca, Epigrafia anfite
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Consigli e suggerimenti
Organizzato da:
Kseniia Popova
23 agosto 2013
Opera festival is so good, quality and exiting!! Professional orchestra and other musicians and so kind, cool atmosphere. Everyone should visit this kind of performance, you'll be full of emotions.
Don Waters
15 july 2017
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Clive McNabb
12 agosto 2017
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Joel Majlergaard
9 july 2016
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30 june 2023
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Franz
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