Alla fine del Settecento a Venezia erano attivi sette antichi teatri, due destinati al dramma e gli altri alla musica. Il più lussuoso era il Teatro San Benedetto, che sorgeva nell'area attualmente occupata dal cinema Rossini. Promosso dalla famiglia Grimani nel 1755, fu poi ceduto alla Nobile Società dei palchettisti che, in seguito a un accordo giudiziario del 1787, fu estromessa e costretta a cedere il teatro ai nobili Venier, proprietari del terreno sul quale si trovava l'edificio. La Società si propose di costruirne immediatamente uno nuovo e più grande di quello perduto, che si sarebbe chiamato Gran Teatro La Fenice, come il mitologico e immortale uccello, di cui parla Erodoto nelle sue Storie, in grado di risorgere dalle proprie ceneri, per simboleggiare la rinascita della Società dalle proprie disavventure.
Il Teatro La Fenice, ubicato nel Sestiere di San Marco in campo San Fantin, è oggi il principale teatro lirico di Venezia. Più volte distrutto e riedificato, è sede di importanti stagioni operistiche, sinfoniche e del Festival Internazionale di Musica Contemporanea.
Negli anni 1921, 1922 e 1927 ha ospitato la Stagione di Operette e sempre nel 1922 anche la Stagione Autunnale di Operette. Nel 1923 c'è stata in cartellone la Stagione Primaverile di Operette e nel 1924 la Stagione Quaresimale di Operette.
Sovrintendente della Fondazione è attualmente Cristiano Chiarot; direttore artistico Fortunato Ortombina; direttore musicale principale Diego Matheuz; maestro del coro Claudio Marino Moretti.
«La Nobile Società del nuovo Teatro da erigersi in Venezia sopra il fondo acquistato nelle contrade di Sant'Angelo e di Santa Maria Zobenigo ha incaricati i suoi presidenti ed aggiunti di procurarsi disegni e modelli» ... invitando «a concorrenza tanto gli architetti nazionali che forestieri a proporre la forma di un teatro ... il più soddisfacente all'occhio ed all'orecchio degli spettatori...».
Così recita il bando di concorso per l'erigendo Teatro La Fenice, pubblicato il 1º novembre 1789, una volta superati i limiti di una legge suntuaria che fissava a sette il numero dei Teatri funzionanti nella Dominante. Nei quattordici articoli di cui era composto, il documento stabiliva che la futura costruzione avrebbe dovuto prevedere cinque ordini di palchetti «che si denominano pepiano», con non meno di 35 palchetti per ciascun ordine. Una chiara scelta di campo a favore delle «piccole logge secondo il costume d'Italia», tesa a raggiungere un risultato che avrebbe dovuto offrire una giusta mediazione tra le due caratteristiche generalmente richieste ad una sala teatrale, e cioè tra l'eccellenza della visibilità e la meraviglia dell'acustica.
Soluzione teatrale in linea con la tradizione italiana, si diceva, dal momento che altre erano le scelte che in fatto di costruzione di teatri nel corso del XVIII secolo si operavano per esempio in Francia, dove veniva preferito il sistema dei palchi aperti in gallerie a corona di una platea semicircolare o leggermente allungata. Scelta tipicamente 'nostrana', tanto più che essa veniva a ricreare nello spazio teatrale la tipologia della piazza italiana. E di certo, in qualche misura, decisione anche svantaggiosa quella dei palchi chiusi, ma giustificata dall'impossibilità del pubblico di allora di rinunciare agli infiniti comodi offerti dalle logge separate, che consentivano di vivere ogni palco come la propria casa, in cui stare soli o in compagnia, mangiare o giocare, consentendo i palchi chiusi di riperpetuare, in una porzione di spazio teatrale privatizzato, quella trama di relazioni e di comportamenti tipici della società dell'epoca.
Dato poi che a quel tempo la via d'accesso privilegiata lungo la quale il pubblico si recava a teatro era quella acquea, il bando raccomandava ai progettisti di pensare un ingresso dal Rio Menuo di almeno venti piedi, misurandone la gondola, mezzo di trasporto per eccellenza. Visto l'estremo rischio di incendio che tutti i teatri dell'epoca correvano, per via dei materiali in gran parte lignei delle costruzioni e per la pericolosità del sistema di illuminazione, la Nobile Società richiedeva «dagli architetti un particolare studio», promettendo, in cambio, di riconoscere merito a quel progetto che, pur in presenza di elementi costruttivi necessariamente «di materia accendibile come il legno», avesse reso meno esposta alle fiamme la costruzione, grazie a «pronti e facili ripari». Una certa attenzione era anche rivolta alle necessità di coloro che, a vario titolo, nel nuovo teatro sarebbero convenuti, raccomandando quindi agli architetti di pensare e migliorare le strutture destinate all'uso di chi gravitava intorno alla scena per ragioni di lavoro, e provvedendo ad aumentare l'agio e la tranquillità degli spettatori agevolando le vie d'accesso e, perché no, la sosta in luoghi adatti «al caffè ed alla vendita di altri generi anche commestibili».
I progetti, concludeva il bando, avrebbero dovuto essere presentati entro quattro mesi, aumentati successivamente a sei, ed all'architetto prescelto sarebbe stato dato in dono «un medaglione d'oro del peso di trecento zecchini» oltre al pagamento di una «giusta mercede» per sovrintendere ai lavori di costruzione di «un decoroso teatro che finalmente corrisponda ad una capitale ove Palladio, Sansovino, Sammicheli, Scamozzi ed altri valentuomeni del Bel Secolo hanno lasciati così insigni monumenti».
Gli studi illustrati furono in totale ventotto. Tra i nove concorrenti il vincitore fu l'architetto Giannantonio Selva, che presentò alla giuria uno schema di decorazione nel proprio modello ligneo, modello a tutt'oggi conservato. Da esso vediamo come egli prevedesse di inserire un riquadro con «Apollo e le Muse che civilizzano l'umanità» sulla facciata verso il canale, mentre quella verso San Fantin avrebbe dovuto essere ornata con scene di «Apollo e Marsia» e di «Orfeo che ammansisce Cerbero». Detti riquadri avrebbero dovuto, secondo il progetto, essere prodotti a fresco, in quanto, come osservava nella relazione alla giuria, «sarebbe desiderabile che tal modo di dipingere sol proprio della veneta scuola ritornasse parcamente anche all'esterno delle fabbriche». Per quanto riguarda le decorazioni del soffitto, il modello del Selva opta per una semplice struttura a intreccio che forma motivi di losanga, incorniciata da una rigogliosa corona vegetale.
Le demolizioni degli edifici che sorgevano sull'area destinata ad ospitare la nuova costruzione iniziarono nell'aprile del 1790 sotto la supervisione di Antonio Solari, ed i lavori furono portati a termine nell'aprile 1792, consentendo che il 16 maggio, festa della Sensa, il teatro venisse ufficialmente inaugurato con I giuochi d'Agrigento Giovanni Paisiello su libretto del conte Alessandro Pepoli.
In occasione della serata di inaugurazione, il cronista della Gazzetta Urbana Veneta scrive a proposito della decorazione della Fenice «... ha tutti i requisiti che son necessarii all'effetto; chiarezza di tinte, armonia, solidità e leggerezza cose difficili a combinarsi, e che mirabilmente s'uniscono in questo lavoro...». Lo stesso cronista sottolinea che «...tutti li 174 palchi componenti questo Teatro sono simili perfettamente...», trasponendo in tale uguaglianza architettonica l'ideale di un teatro repubblicano.
Pur rimanendo di proprietà della Societas che l'aveva costruita, durante la dominazione francese La Fenice assunse chiaramente la funzione di teatro di Stato. Per accogliere come si conveniva Napoleone, si pensò di addobbare la sala in celeste e argento secondo il nuovo stile Impero che si stava diffondendo. La visita avvenne il martedì 1º dicembre 1807 ed in onore dell'illustre ospite venne rappresentata la cantata Il giudizio di Giove di Lauro Corniani Algarotti. Seguì, il giovedì successivo, una grande festa da ballo. La sala del teatro, sfarzosamente addobbata, nella testimonianza del regio bibliotecario abate Morelli «presentava l'aspetto d'un luogo destinato al ricetto di personaggi della più alta portata».
Al fine di ovviare alla mancanza di un palco reale si costruì una loggia provvisoria per accogliere l'imperatore, e solo l'anno dopo si pensò di dare incarico al Selva, che già aveva sovrinteso ai preparativi fatti per la visita del 1807, di progettare una struttura fissa appositamente studiata per ospitare il sovrano. Nel contempo si stabilì di procedere ad una nuova decorazione della sala. Questa trasformazione "napoleonica" sulla struttura della Fenice era stata preceduta l'anno prima da un intervento attuato alla Scala di Milano, capitale del Regno Italico. E da Milano, infatti, giunsero, assieme ai quattrini necessari ai lavori (150.000 lire italiane), anche le linee direttrici per «la costruzione del palco del Governo nel Teatro della Fenice, occupandovi sei palchetti» e per le nuove decorazioni.
Al concorso, bandito il 4 giugno 1808 dall'Accademia delle Belle Arti, quattro furono i progetti che vennero esaminati dalla commissione, tra i cui membri figurava anche il Selva. Questa scelse, già il 28 giugno successivo, i disegni dell'ornatista Giuseppe Borsato presentati con il motto «nec audacia defuit, sed vires», il quale, una volta che il progetto venne approvato dal vice re Eugenio Beauharnais, poté avere il contratto siglato già il 25 settembre. Il progetto di Borsato, di netto stile Impero, prevedeva una struttura a regolari comparti geometrici attorno ad un Trionfo di Apollo sul cocchio attorniato dal coro delle Muse. Un soggetto, quindi, chiaramente conveniente ad un teatro e, nel contempo, una facilmente riconoscibile allusione al nuovo potente che, nella migliore tradizione barocca, veniva assimilato al dio solare. Attorniavano la scena centrale dieci medaglioni con teste laureate e, sul bordo, quattro finti rilievi allusivi alla musica, il tutto incorniciato da un fregio con maschere e festoni retti da fenici e da genietti. Collaborarono alla decorazione, che fu portata a termine in tempo da permettere la regolare riapertura il 26 dicembre 1808, altri pittori come 'figuristi'. Dei tre chiamati dal Borsato a collaborare, sembra che Giambattista Canal abbia lavorato all'affresco maggiore con il cocchio di Apollo; Costantino Cedini abbia dipinto il nuovo sipario, mentre Pietro Moro si sarebbe occupato dell'esecuzione dei finti rilievi. Di netto contenuto ideologico furono, invece, le decorazioni della loggia imperiale fatte per mano di Giovanni Carlo Bevilacqua che scrisse di aver dipinto a guisa di bassorilievi sulle tre pareti e «a tempera Ercole che uccide l'Idra» ed «Ercole che coglie i frutti nell'Orto delle Esperidi», raffigurando «sopra la porta un Genio militare in una biga tirata da quattro cavalli, coronato dalla Fama, e guidato dal Dio Marte». Quella loggia che già il Selva il 6 luglio 1808 ebbe modo di precisare che sarebbe stata «nell'interno armonicamente ripartita con pilastri, quadrature, intagli e quattro specchiere, il tutto messo ad oro e vernice... Il Baldacchino e lo Strato... di Шаблон:Sic foderato di raso con ricchi galloni, Шаблон:Sic, e fiocchi d'oro».
La nuova loggia imperiale dovette attirare l'attenzione di tutti i presenti alla serata inaugurale il 26 dicembre, essendo essa divenuta il fulcro della sala teatrale, tanto più che la decorazione, secondo una scelta di coerente gusto neoclassico che consentiva anche un apprezzabile contenimento di spesa, offriva raffinate variazioni in monocromo. Comunque si conquistò il sincero favore del Segretario della I.R. Accademia Antonio Diedo che la definì «opera pregevolissima, che accoppia in modo distinto la comodità all'eleganza», nonché gli apprezzamenti di Klemens von Metternich che, omaggiato nuovo signore, poté assistere la sera del 16 dicembre 1822 ad uno spettacolo che lui stesso definì «sans pareil» in una loggia che gli apparì «merveilleusement belle».
Nel 1825 si rende necessario un restauro radicale dato che «le autorità governative - avevano espresso - ripetutamente il loro malcontento per lo stato indecoroso nel quale era ridotta la decorazione della sala teatrale sia a causa del tempo sia per le emanazioni di fumo delle lumiere ad olio». Ad essere incaricato dei nuovi lavori è ancora una volta Giuseppe Borsato, scenografo ufficiale del teatro. Elemento cardine della sala diviene ora il grande lampadario appeso ad una volta a padiglione. Al posto del cocchio di Apollo, Borsato raffigura le dodici ore della notte, mentre per i parapetti dei palchi sceglie decorazioni monocrome raffiguranti foglie di acanto, strumenti musicali, festoni, maschere, genietti. L'inaugurazione della nuova sala avviene il 27 dicembre 1828.
Il 13 dicembre 1836 un incendio, causato probabilmente dal cattivo funzionamento di una stufa, distrugge la sala teatrale e parte del teatro. Il teatro crolla, ma sono risparmiati dal fuoco l'atrio e le sale Apollinee. La società proprietaria del teatro incarica i fratelli ingegneri Tommaso e Giovan Battista Meduna per il progetto della ricostruzione del teatro. Tranquillo Orsi lavora per la decorazione del soffitto; a Giuseppe Borsato, invece, il governo affida la decorazione del palco reale. Si rifecero anche gli stucchi dell'atrio del Selva per mano di Giambattista Lucchesi e Giambattista Negri, concordemente elogiati per lo «stupendissimo» risultato ottenuto sostituendo le scene affrescate del Settecento con specchi e marmorini che mettevano in risalto l'architettura. Una «... maestosa scala in pietra con laterali balaustre, pur di pietra...» portava alla «...grande ricca sala ad uso di accademie musicali e di festini.... È la sala decorata nelle pareti con pilastri corintii a stucco, fra i quali sono infisse otto specchiere di nove lastre con foglia per ciascuna, e con riquadratura di legno all'intorno indorata». Qualche intervento toccò pure alla facciata sul Rio Menuo dove gruppi di putti a monocromo vennero affrescati nelle sette lunette del portico da Sebastiano Santi; mentre nel vestibolo dell'entrata via terra furono collocate due steli. Una a sinistra, opera di Luigi Zandomeneghi, raffigurante Carlo Goldoni; l'altra a destra, scolpita da Antonio Giaccarelli su disegno di Giambattista Meduna in omaggio al Selva, mentre sulla facciata faceva la sua comparsa la nuova insegna del Teatro in oro e celeste. Il 26 dicembre 1837 il nuovo teatro viene inaugurato completo delle nuove decorazioni.
Gli unici interventi che si registrarono dopo la ricostruzione del 1837 riguardarono solo il palco imperiale che la sollevazione popolare del '48 volle fosse abolito in quanto simbolo dell'oppressione austriaca. Tuttavia, i sei palchi che allora vennero costruiti al posto della loggia imperiale, che riportarono la Fenice alle sue origini settecentesche, ebbero vita effimera. Il 22 agosto 1849, infatti, «ritornato l'Imperial Regio Governo Austriaco venne da questo ordinato di ricostruire la loggia nella stessa precedente sua forma, e ne fu tosto attuato il lavoro» dai Meduna. Per la decorazione del palco imperiale venne nuovamente chiamato l'ormai vecchio Giuseppe Borsato. Proclamata la Repubblica il 18 giugno del 1946, lo stemma monarchico sparì per lasciare il posto al Leone di San Marco. La realizzazione è quella che verrà distrutta il 29 gennaio 1996 da un secondo incendio.
Il successivo intervento sulla sala della Fenice avvenne nel 1854, e fu dovuto alla necessità di restaurare il soffitto, il che costituì l'occasione per procedere ad una nuova decorazione secondo l'estetica allora in voga. Al gusto allora imperante, tutto aperto ai più diversi stili del passato ed all'esotico, la decorazione del teatro, improntata a canoni tardo-neoclassici, doveva sembrare ormai superata. Richiamandosi ad un Settecento immaginario, il Teatro, nuovamente restaurato dal Meduna, si riallacciava al mito di un tempo felice ed irrimediabilmente passato, quando ancora Venezia poteva essere annoverata tra le capitali dell'arte e della cultura. Così, allo spettatore che vi entrava, la ricca sala del Teatro poteva dare per un momento l'illusione di rivivere quel passato glorioso e magnifico, facendolo evadere dalla realtà di profonda crisi e declino che la città invece drammaticamente viveva. E il Teatro che venne inaugurato nel dicembre 1854 era praticamente lo stesso andato perduto nel corso dell'ultimo recente incendio: il 29 gennaio del 1996.
Rimane solo da registrare qualche significativo intervento di Lodovico Cadorin fra il 1854 ed il 1859 negli ambienti del piano nobile e negli stucchi dello scalone di accesso alle sale apollinee, le cui tracce ad ogni modo furono disperse dal restauro del 1937. Il Comune, divenuto proprietario del teatro, ne affida il rinnovamento all'ingegnere Eugenio Miozzi, incaricandolo di rendere lo stabile più consono alle nuove esigenze sceniche e di riportarlo al suo aspetto neoclassico. L'atrio viene raddoppiato. Il pittore Giuseppe Cherubini restaura le decorazioni della sala teatrale, delle sale Apollinee e il sipario sotto le direttive di Nino Barbantini. La scena diviene girevole, aumenta in altezza e viene attrezzata con nuove macchine.
Un altro intervento avvenne nel 1865 un anno prima dell'annessione di Venezia al Regno d'Italia, quando si volle celebrare con spirito risorgimentale il sesto centenario della nascita di Dante Alighieri e, a scopo celebrativo, il pittore Giacomo Casa aveva realizzato la grande composizione che vedeva l'Italia nell'atto di incoronare il sommo poeta all'interno della cornice che orna il soffitto; e per le pareti sei dipinti a tempera, ad affresco, con altrettante scene tratte dalla Divina Commedia. Due di queste vennero poi sostituite con altre eseguite a tempera nel 1867 da Antonio Ermolao Paoletti. Nel settembre del 1976 le pareti e il soffitto di questo ambiente, ribattezzato sala Guidi, accolsero opere realizzate dal pittore veneziano Virgilio Guidi, che andarono a coprire gli episodi danteschi.
Il 29 gennaio 1996 un devastante incendio doloso distrugge il teatro. Il rogo impegna i vigili del fuoco per tutta la notte. Il mondo intero piange la perdita di uno dei teatri più belli, dalla straordinaria acustica e protagonista da sempre della vita operistica, musicale e culturale italiana ed europea. Dal dolore della perdita nasce la volontà di ricostruire lo storico teatro ispirandosi al motto «com'era, dov'era», ripreso dalla ricostruzione del campanile di San Marco. Immediatamente dopo l'incendio si eseguono tutti gli interventi necessari a prevenire ed evitare situazioni di pericolo per la pubblica incolumità, come ad esempio le opere di puntellamento delle murature perimetrali. Solo dopo il dissequestro del cantiere viene quindi avviata la rimozione delle macerie, smaltite in circa tre mesi. Già il 6 febbraio vengono stanziate con decreto legge le prime risorse finanziarie e viene istituita la figura del Commissario Delegato per la ricostruzione. Il 7 settembre 1996 viene pubblicato il bando di gara cui partecipano dieci imprese italiane ed estere. Dopo alcuni ricorsi, la A.T.I. Holzmann si aggiudica l'appalto con il progetto dell'architetto Aldo Rossi. Dal 14 al 21 dicembre 2003 ha luogo la settimana inaugurale del teatro.
I responsabili dell'incendio furono in seguito individuati e condannati. Due elettricisti, Enrico Carella e suo cugino Massimiliano Marchetti, con la loro ditta Viet stavano lavorando alla manutenzione del teatro e, per non incorrere in una penale dovuta ai ritardi accumulati dalla propria impresa, decisero di causare un piccolo incendio per provocare un ritardo imputabile a causa di forza maggiore. Riconosciuti colpevoli con sentenza definitiva della Cassazione del 14 luglio 2003 Carella e suo cugino furono condannati rispettivamente a 7 e a 6 anni di prigione. Marchetti scontò due anni in carcere ed usufruì in seguito degli sconti di pena derivanti da un indulto. Carella fece perdere le proprie tracce poco prima della sentenza della Cassazione e risultò latitante e ricercato dalla Digos e dall'Interpol. Catturato al confine tra Messico e Belize nel febbraio 2007, fu rinchiuso in un carcere di Città del Messico. Dopo la sua estradizione è stato in carcere a Busto Arsizio dal maggio 2007 per circa 16 mesi (oltre ai 224 giorni trascorsi precedentemente in isolamento a Padova). Anch'esso ha usufruito degli sconti dell'indulto ed è stato affidato successivamente al centro di riabilitazione Castelsalus di Castello di Godego in regime di semi-libertà, con obbligo di pernottamento in carcere.
L'avancorpo del Teatro, la cui facciata principale prospetta sul Campo San Fantin da cui avviene l'ingresso principale degli spettatori, a piano terreno contiene l'atrio ed il foyer, da cui, mediante lo scalone d'onore, si giunge alle Sale Apollinee propriamente dette e gravemente danneggiate nell'incendio: per esse è stato effettuato un intervento conservativo delle parti residue ed una ricostruzione filologica di quelle rimanenti, con l'utilizzo di materiali e tecniche tradizionali. Il progetto di restauro dei decori si definisce come un «atto d'amore verso i frammenti superstiti»: usando le stesse parole di Aldo Rossi, affinché sia sempre possibile anche dopo l'intervento di restauro e di integrazione, una lettura della storia dell'edificio. Nel sottotetto, liberato dalla sua antica destinazione di laboratorio scenografico, è stata ricavata una nuova sala espositiva aperta al pubblico anche grazie alla nuova scala esterna di sicurezza. Tale spazio, uno dei più interessanti del complesso teatrale con le sue imponenti capriate lignee a vista, è stato ricostruito com'era e, per le sue proporzioni e la sua architettura, si presta alla realizzazione di manifestazioni culturali.
La sala teatrale completamente distrutta dall'incendio è caratterizzata da una ricostruzione filologica basata, sul rigoroso «com'era, dov'era», con il mantenimento di tutti i cinque ordini di palchi, corredati del medesimo apparato decorativo in cartapesta e legno anche sulla base di una minuziosa ricerca fotografica. Il concetto informatore è stato quello di riproporre la sala originaria soprattutto nella sua specifica soluzione tecnica, basata sul prevalente uso del legno accuratamente scelto e sapientemente trattato per ottenere la migliore resa acustica. Il progetto ha dato luogo anche al ripristino dell'originario accesso alla sala teatrale dalla cosiddetta “entrata d'acqua” dal rio prospiciente il teatro. Tale accesso, originariamente voluto dal Selva, nel corso del tempo non era più stato utilizzato dagli spettatori. Nel piano sottoplatea vengono ricavate alcune sale prova per gli strumentisti che, consentono ai professori d'orchestra di accedere al golfo mistico senza interferire con la sala. La modifica del sistema delle vie di fuga, oltre che l'adeguamento degli impianti, ha inoltre consentito di portare il numero degli spettatori ammissibili dagli 840, precedenti all'incendio, ai nuovi 1000 posti.
Anch'essa è stata devastata dall'incendio del 1996 ed il suo volume architettonico è vincolato alla configurazione precedente. La nuova macchina scenica, completamente rinnovata nell'ottica del miglioramento delle caratteristiche tecnologiche del teatro, collabora con le strutture murarie ed è stata progettata contestualmente all'Ala Nord per permettere il massimo utilizzo del palcoscenico e dei vani attigui idonei al ricovero delle scene. In tale ottica è stato realizzato un nuovo palcoscenico laterale che potrà traslare sul principale, ottenuto grazie alla demolizione dei preesistenti arconi ad ogiva che delimitavano lo spazio scenico.
È il corrispondente nucleo edilizio addossato al teatro vero e proprio, anch'esso danneggiato nell'incendio per il quale è possibile una maggiore libertà di progettazione in mancanza di strutture storiche di rilievo. Fin dai tempi del Selva e poi nelle successive modificazioni e ampliamenti del teatro dovuti al Meduna, al Cadorin ed infine al Miozzi, questa parte di edificio ha da sempre interagito con la zona del palcoscenico ed ha progressivamente occupato l'antico sedime della corte Lavezzera. Sono stati completamente ridisegnati i servizi teatrali tenendo conto delle esigenze funzionali del teatro stesso (spogliatoi, camerini, sale prova) razionalizzando ed adeguando alle norme vigenti scale di sicurezza ed i sistemi di risalita in generale.
Anch'essa danneggiata nell'incendio, questa porzione del complesso teatrale contiene, oltre agli uffici gestionali del Teatro, riposizionati ed organizzati, il segno architettonico più forte nella ricostruzione: la Sala Nuova, ora chiamata Sala Rossi. Tale sala è composta di una zona in piano per l'orchestra, e di un ballatoio a gradoni per i coristi o per il pubblico durante l'esecuzione di concerti da camera o conferenze, è caratterizzata dalla quinta scenografica interna che riproduce un frammento della Basilica Palladiana di Vicenza; utilizzata longitudinalmente ripropone, per il coro e l'orchestra, la medesima posizione del palcoscenico nella sala teatrale ed è stata progettata con l'obiettivo di rendere la medesima acustica della sala teatrale. Nel contempo la Sala Nuova può essere usata autonomamente con accesso dalla calle prospiciente il Rio de la Fenice, ove possono avere luogo anche concerti da camera e conferenze, ampliando così le funzionalità della Fenice, e diventando quindi un altro importante polo delle attività del corpo teatrale al servizio della città.
Durante i lavori, le rappresentazioni dell'ente lirico veneziano hanno avuto luogo al Palafenice, una struttura provvisoria appositamente creata al Tronchetto, e al Teatro Malibran.
Per festeggiare la riapertura del teatro, la Fondazione Teatro La Fenice ed il Comune di Venezia, assieme alla Regione del Veneto, presentano una settimana di eventi musicali nella nuova Fenice. Alla presenza, in palco reale, del Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi ed in diretta televisiva, Riccardo Muti apre la Settimana Inaugurale nel ricostruito Teatro La Fenice il 14 dicembre 2003, con l'Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice.
Il concerto si avvia con una pagina dal significato beneaugurante: La consacrazione della casa di Ludwig van Beethoven, cui segue un programma improntato alla tradizione della civiltà musicale veneziana: di Igor Stravinskij, compositore che riposa nel cimitero dell'Isola di San Michele, la Sinfonia di Salmi, seguita dal Te Deum di Antonio Caldara, compositore veneziano e protagonista della vita artistica della città lagunare fra Sei e Settecento; infine “Tre Marce Sinfoniche” di Richard Wagner, legatissimo a Venezia per avervi soggiornato varie volte e per avervi creato il secondo atto di Tristan und Isolde e parte di Parsifal oltre che diretto una sua sinfonia giovanile nel 1882 alle Sale Apollinee della Fenice. Il 15 dicembre la Fenice ospita un concerto della Philharmonia Orchestra di Londra diretta da Christian Thielemann. Ancora Richard Wagner nella seconda serata che apre con il Preludio dell'atto primo di Lohengrin, seguito dall'Intermezzo di Manon Lescaut di Giacomo Puccini. Quindi ancora Wagner con il Vorspiel und Liebestod da Tristan und Isolde. Concludono la serata il poema sinfonico Tod und Verklärung (Morte e Trasfigurazione) e il poema sinfonico Till Eulenspiegel (I tiri burloni di Till Eulenspiegel) di Richard Strauss. Si deve alla volontà di Luciano Berio, scomparso il 27 maggio 2003, la partecipazione alla terza serata della Settimana Inaugurale, mercoledì 17 dicembre, dell'Orchestra e del Coro dell'Accademia Nazionale Santa Cecilia di Roma e del Coro di Voci Bianche Aureliano, che, diretti da Myung-Whun Chung, eseguono la Sinfonia n. 3 di Gustav Mahler. Ouverture in prima assoluta, lavoro scritto per l'occasione dal giovane compositore catanese Emanuele Casale, giovedì 18 dicembre. L'Orchestra e il Coro del Teatro La Fenice, diretti da Marcello Viotti, quindi propongono un omaggio al compositore e direttore d'orchestra veneziano Giuseppe Sinopoli, con l'esecuzione di Lou Salomè Suite n. 2. A conclusione della serata, Viotti dirige la Messe Solennelle di Gioachino Rossini. Il 19 dicembre, il palcoscenico del Teatro La Fenice accoglie Elton John. Per la prima volta a Venezia, i Wiener Philharmoniker, diretti da Mariss Jansons, sono i protagonisti del concerto del 20 dicembre, con l'esecuzione dell'ouverture de Euryanthe di Carl Maria von Weber, cui segue la Sinfonia n. 2 di Robert Schumann ed i Quadri da un'esposizione di Modest Petrovic Musorgskij. La Settimana Inaugurale si chiude il 21 dicembre con l'Orchestra Filarmonica di San Pietroburgo diretta da Yuri Temirkanove la Sinfonia n. 4 di Pëtr Il'ic Cajkovskij seguita da Le sacre du printemps di Igor Stravinskij.
Dal 1º gennaio 2004, per festeggiare la riedificazione del teatro, La Fenice ospita il Concerto di Capodanno durante il quale vengono eseguite arie e brani d'opera. Il Concerto, giunto alla sua X edizione, è trasmesso in diretta dalla Rai che ha poi venduto i diritti alle tv di Francia, Germania, Svizzera, Austria e Albania. In differita viene trasmesso anche in Giappone e nell'intera America Latina. Ogni anno il concerto termina con il brindisi della Traviata di Giuseppe Verdi, «Libiamo ne' lieti calici».
1787 La Nobile Società, proprietaria del teatro San Benedetto, decide di costruirne uno di nuovo a San Fantin.
1º novembre 1789 Così recita il bando di concorso per la costruzione del Gran Teatro La Fenice. Giannantonio Selva è il vincitore.
16 maggio 1792 Il nuovo teatro del Selva viene ufficialmente inaugurato.
1º dicembre 1807 Si costruisce una loggia provvisoria per accogliere Napoleone in visita a Venezia.
4 giugno 1808 Si stabilisce di procedere ad una nuova decorazione della sala. Il concorso, bandito dall'Accademia di Belle Arti, viene vinto da Giuseppe Borsato.
26 dicembre 1808 Viene inaugurata la nuova loggia imperiale, fulcro della sala teatrale.
1825-1828 Si rende necessario un restauro radicale. Ad essere incaricato dei nuovi lavori è ancora una volta Giuseppe Borsato, scenografo ufficiale del teatro. Elemento cardine della sala diviene ora il grande lampadario appeso ad una volta a padiglione. Al posto del cocchio di Apollo, Borsato raffigura le dodici ore della notte, mentre per i parapetti dei palchi sceglie decorazioni monocrome raffiguranti foglie di acanto, strumenti musicali, festoni, maschere, genietti. L'inaugurazione della nuova sala avviene il 27 dicembre 1828.
13 dicembre 1836 Primo incendio
1837 I fratelli ingegneri Tommaso e Giovan Battista Meduna per il progetto della ricostruzione del teatro.
1844 L'illuminazione a olio del teatro è sostituita con un nuovo impianto a gas.
1848 La loggia imperiale, in seguito ai motti patriottici, viene distrutta e sostituita con palchetti.
1849 Il governo austriaco, stabilitosi alla guida della città, incarica i fratelli Meduna di ricostruire la loggia imperiale.
1853 Viene bandito per due volte il concorso per la nuova decorazione della sala. Il progetto prescelto è ancora quello di Giovan Battista Meduna. La realizzazione è quella che verrà distrutta il 29 gennaio 1996 da un secondo incendio.
1865 Nel quarto centenario della nascita di Dante una delle sale Apollinee è decorata con episodi danteschi del pittore Giacomo Casa.
1866 Dopo l'annessione di Venezia all'Italia, la loggia imperiale del teatro è trasformata in palco reale collocando al centro del fastigio lo stemma sabaudo.
1876 La società proprietaria del teatro si scioglie.
1892 Introduzione dell'illuminazione elettrica nel teatro. Il teatro La Fenice assume la veste giuridica di ente morale.
1904 Per aumentare i posti del teatro vengono trasformati in galleria i settori laterali del 30 ordine di palchi.
1937 Il Comune, divenuto proprietario del teatro, ne affida il rinnovamento all'ingegnere Eugenio Miozzi, incaricandolo di rendere lo stabile più consono alle nuove esigenze sceniche e di riportarlo al suo aspetto neoclassico. L'atrio viene raddoppiato. Il pittore Giuseppe Cherubini restaura le decorazioni della sala teatrale, delle sale Apollinee e il sipario sotto le direttive di Nino Barbantini. La scena diviene girevole, aumenta in altezza e viene attrezzata con nuove macchine.
1938 Viene inaugurata la nuova Fenice del Miozzi.
1946 Con la proclamazione della Repubblica, lo stemma sabaudo sul fastigio del palco reale viene sostituito dal simbolo del leone di San Marco.
1976 È inaugurata la nuova sala Guidi, già sala Dante, al primo piano delle sale Apollinee.
29 gennaio 1996 Il teatro brucia per la seconda volta.
14-21 dicembre 2003: settimana inaugurale La settimana inaugurale ha inizio domenica 14 dicembre, con un concerto eseguito dall'Orchestra e dal Coro del Teatro La Fenice diretti dal maestro Riccardo Muti.