Mosè (Michelangelo)

Il Mosè è una delle più celebri sculture di Michelangelo.

Essa è parte della tomba ubicata in San Pietro in Vincoli, a Roma, costruita da Michelangelo Buonarroti nel 1505 su commissione di Papa Giulio II, tomba completata nell'arco di quarant'anni a causa delle continue modifiche apportate al progetto originario. Nel primo progetto la tomba doveva essere costituita come un mausoleo a tre piani, ornato da quaranta statue in marmo e rilievi in bronzo, con una pianta di 11 metri per 7 al cui interno stava la tomba del pontefice massimo: il Mosè doveva fare da pendant con la statua di San Paolo, in quanto entrambi avevano ricevuto la visione di Dio.

Storia

Inizialmente Papa Giulio II fu entusiasta del progetto, tanto che ordinò all'artista di partire per le cave apuane per scegliere i marmi più adatti a tal opera. Michelangelo passò otto mesi a Carrara, dal maggio al dicembre del 1505, contrattando e trasportando, su muli, navi, infine su rulli e slitte, i materiali più belli fino a Piazza San Pietro. Talmente tanti e belli erano che era diventata distrazione popolare andarli a rimirare. Si pensa che il Mosè sia stata una delle prime opere dello scultore.[]

Papa Giulio II non amava gli indugi, presa la decisione chiese al Bramante, l'architetto più illustre di quegli anni di progettare una nuova chiesa che prendesse il posto della vecchia Basilica Costantiniana, in Piazza San Pietro. Doveva essere il tempio della Cristianità, tanto smisurato da contenere il suo altrettanto enorme sepolcro. Giulio II, partito il progetto di quella che è oggi la Basilica di San Pietro, perse interesse per il suo maestoso sepolcro, distratto da ancor più maestosi affari e forse fuorviato da altri artisti invidiosi di Michelangelo.

Michelangelo arriva perfino a scappare da Roma, con il papa che aveva interrotto i pagamenti e lo evitava e i marmi che continuavano ad arrivare e che lui doveva pagare. Tornò solo due anni dopo, sperando di poter rimettere mano al Mosè. Le sue aspettative furono deluse e gli fu commissionato un nuovo lavoro che fu per lui fonte di frustrazioni, anche fisiche, e allo stesso tempo forse la sua opera più famosa e osannata, la Cappella Sistina.

Pochi mesi dopo Papa Giulio II muore, gli succedono Papa Leone X, Papa Adriano VI e Papa Clemente VII, che addirittura progetta di ucciderlo e per Michelangelo si profilano altri ostacoli al compimento del Mosè. Scappa spesso a Firenze. Michelangelo giunge, comprensibilmente, a dire che il Mosè è «la tragedia della mia vita». Era diventato la sua ossessione. Morto Papa Clemente VII, il nuovo pontefice Papa Paolo III vuole che l'artista esegua il Giudizio Universale, ma gli eredi di Papa Giulio II pretendono a gran voce che il Buonarroti finisca la tomba del loro antenato.

Papa Paolo III si rese conto che Michelangelo era preso tra due fuochi. Convinse e rabbonì il nipote del papa. E rimandò ancora il compimento del sepolcro. Finito il Giudizio Michelangelo doveva riprendere e finire il Mosè. Ma il papa volle che dipingesse un'altra cappella intitolata a suo nome.

Intanto passano gli anni, e bisogna arrivare al 1545, proprio 40 anni, per vedere completata l'opera. Michelangelo era un vigoroso 30enne e ora è un vecchio triste di settant'anni. Gli eredi di Giulio II lo accusano di volersi tenere e investire in vari affari i soldi che ha percepito in quei quarant'anni. Quello che avrebbe dovuto essere un superbo mausoleo s'è ridotto a una "misera" parete.

Negli anni Michelangelo si occupò di altri progetti, a cui deve la sua gloria, ma se il Mosè ora fosse quello che era stato progettato, come dice Corrado Augias nel suo I segreti di Roma, «certamente sarebbe ancora oggi una delle meraviglie del mondo.»

Restauro

Nel dicembre del 2003 si è concluso un restauro quinquennale guidato da Antonio Forcellino. Il restauro, oltre alla pulitura delle statue, ha permesso di riaprire la lunetta alle spalle del gruppo scultoreo da cui proveniva la luce che illuminava la statua, e che era stata coperta nel 1704 da una vetrata. A proposito è stato realizzato un film-documentario, dal titolo "Lo sguardo di Michelangelo" e diretto dal celebre regista Michelangelo Antonioni, premio Oscar nel 1995.

Iconografia

Mosè viene rappresentato in posizione seduta, con la testa barbuta rivolta a sinistra, il piede destro posato per terra e la gamba sinistra sollevata con la sola punta del piede posata sulla base. Il braccio sinistro è abbandonato sul grembo, mentre quello destro regge le tavole della Legge, mentre la mano arriccia la lunga barba. La statua, nella sua composizione, esprime la solennità e la maestosità del personaggio biblico. Per quest'opera, Michelangelo si rifà al San Giovanni Evangelista di Donatello, riprendendone la carica di energia trattenuta, resa manifesta nel volto contratto e concentrato, ma aumentandone la carica dinamica grazie allo scatto contrario, rispetto al corpo, della testa.

I corni sulla testa di Mosè rappresentano raggi di luce. Infatti nella Bibbia è riportato che Mosè scendendo dal monte Sinai aveva due raggi che partivano dalla sua fronte. In ebraico "raggi" si scrive "karen", che però nelle varie traduzioni è stato trasformato in "keren" (corna) anche perché nel Medioevo si riteneva che solo Gesù potesse avere il volto pieno di luce. Secondo lo psicologo analista junghiano James Hillman «quelle corna collocate lì da Dio o da San Giovanni Evangelista restituiscono a Mosè ciò che aveva voluto separare e allontanare: Dio e l’animale, la legge e l'istinto, il dovere e il piacere, il monoteismo ebraico e il politeismo egiziano».

Leggende

È legato a questa scultura l'aneddoto secondo il quale Michelangelo, contemplando la stessa al termine delle ultime rifiniture e stupito egli stesso dal realismo delle sue forme, abbia esclamato "Perché non parli!?" percuotendone il ginocchio con il martello che impugnava.

Sempre per questa statua si racconta che Michelangelo aveva appena finito di scolpirla quando ricevette la visita del gonfaloniere Pier Soderini, il quale fece subito notare all’artista che il naso della statua era sproporzionato. Michelangelo, dando l’impressione di apprezzare la critica, prese martello e scalpello e con spalle rivolte al gonfaloniere, finse di dare alcuni colpi per ridurre il naso. “Ora va benissimo!”, commentò soddisfatto il Soderini.

A proposito della maestosa barba del Mosè, il Vasari disse che è scolpita con una perfezione tale da sembrare più “opera di pennello che di scalpello”. Secondo la fantasia popolare, nella barba del Mosè, sotto il labbro inferiore, leggermente a destra, Michelangelo avrebbe scolpito il profilo di papa Giulio II e una testa di donna.

Curiosamente le tavole della legge risultano rovesciate, come se fossero scivolate dalle braccia del Mosè.

Celebre lo sguardo del Mosè definito come “terribile”. Esso è stato interpretato come espressione del carattere di Michelangelo, così irascibile, orgoglioso e severo che per esso è stato appositamente coniato il termine "terribilità".

Bibliografia

  • Sigmund Freud, Il Mosè di Michelangelo, Bollati Boringhieri, 1975
  • Corrado Augias, I Segreti di Roma, Mondadori, 2005

Voci correlate

  • San Pietro in Vincoli
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