Ponte di Traiano

Il Ponte di Traiano (romeno: Podul lui Traian; serbo: Трајанов мост, Trajanov Most) o Ponte di Apollodoro sul Danubio era un ponte romano fortificato, costruito negli anni dal 103 al 105, il primo mai posto in opera sul basso corso del Danubio. Per più di mille anni fu il più lungo ponte ad arcate mai costruito al mondo, sia in termini di lunghezza totale che di larghezza delle sue campate.

Coordinate: 44°36′52.362″N 22°37′33.6″E / 44.614545, 22.626

mostra dei segmenti d'arco stranamente appiattiti, poggianti sugli alti piloni in muratura. In primo piano l'imperatore Traiano offre sacrifici e libagioni al Danubio.]]

Il Ponte di Traiano (romeno: Podul lui Traian; serbo: Трајанов мост, Trajanov Most) o Ponte di Apollodoro sul Danubio era un ponte romano fortificato, costruito negli anni dal 103 al 105, il primo mai posto in opera sul basso corso del Danubio. Per più di mille anni fu il più lungo ponte ad arcate mai costruito al mondo, sia in termini di lunghezza totale che di larghezza delle sue campate.

Fu opera dell'architetto Apollodoro di Damasco, che lo realizzò nel corso della campagna bellica che portò Traiano alla conquista della Dacia.

Descrizione

Per approfondire, vedi le voci Ingegneria militare romana e Conquista della Dacia.

Il ponte era posto ad est delle Porte di Ferro, presso le attuali città di Dobreta (in Romania) e Kladovo (in Serbia). La sua costruzione fu ordinata dall'imperatore Traiano per fornire una via di rifornimento per le legioni romane impegnate nella campagna dacica.

superstiti in un disegno ottocentesco.]]

La struttura era lunga 1.135 metri, in un punto in cui il Danubio è largo 800 metri: l'altezza sul pelo dell'acqua raggiungeva i 19 metri; la larghezza del passaggio era di 15 metri. Con la sua posa in opera veniva di fatto cancellato il confine naturale che il corso del fiume stabiliva tra la Mesia e la Dacia.

A ciascuna delle estremità, intorno ai due ingressi, era posto un castrum,<ref name = Procopio>Procopio, De aedificiis, iv, 6 (traduzione inglese su LacusCurtius.</ref> di modo che l'attraversamento del ponte fosse possibile solo passando attraverso le fortificazioni.

Il suo ingegnere, Apollodoro di Damasco, usò probabilmente<ref>L'uso del legno in luogo della muratura è una questione non definitivamente accertata. L'archeologa Gordana Karović, intervistata in Romans Rise from the Waters, poteva ancora dire, nel 2003: «Lo scopo finale è stabilire se fosse un ponte in pietra oppure in legno con fondamenta in pietra, per svelare il segreto della costruzione dei ponti romani». La questione è posta da tempo, come ad esempio in Edward Togo Salmon, Trajan's Conquest of Dacia, "Transactions and Proceedings of the American Philological Association", Vol. 67, 1936, pp. 83-105 (accesso su JSTOR). </ref> archi in legno poggiati su venti piloni in muratura di mattoni, malta e pozzolana alti circa 45 metri e distanziati tra loro di 38 metri.<ref>Leonardo Fernández Troyano, Bridge Engineering - A Global Perspective. Thomas Telford Publishing, 2003.</ref> Nel piccolo museo archeologico di Turnu Severin è presente un bellissimo modello scala 1:100 del ponte (in un locale lungo ovviamente più di dodici metri).

La Tabula Traiana lungo la strada romana

Un'iscrizione commemorativa, larga 4 metri e alta 1.75, nota come Tabula Traiana,<ref>Шаблон:CIL = ILS 5863.</ref> scolpita direttamente nella roccia, celebra il rifacimento della strada militare romana che conduceva al ponte di Traiano; si trova sul lato serbo, rivolta verso la Romania. Vi si legge:<ref>Le parti tra parentesi sono integrazioni: (...) testo abbreviato; [...] = testo corrotto.</ref>

IMP(erator) CAESAR DIVI NERVAE F(ilius) NERVA TRAIANUS AUG(ustus) GERM(anicus) PONTIF(ex) MAXIMUS TRIB(unicia) POT(estate) IIII PATER PATRIAE CO(n)S(ul) III MONTIBUS EXCISI[s] ANCO[ni]BUS SUBLAT[i]S VIA[m r]E[fecit] «L'imperatore Cesare Nerva Traiano Augusto, figlio del divo Nerva, vincitore dei Germani, Pontefice Massimo, quattro volte investito della potestà tribunizia, Padre della Patria, Console per la terza volta, scavando montagne e sollevando travi di legno questa strada ricostruì.»

La dedica si riferisce a quella «spettacolare strada»,<ref>Colin M. Wells, L'impero romano, cit., p. 220.</ref> lambita dal corso del Danubio, che i genieri romani aprirono nel 33-34,<ref>Dessau. ILS 2281 = Ehrenberg-Jones. Documents illustrating the Reigns of Augustus and Tiberius, Cambridge University Press, 267. ISBN 0-19-814819-4.</ref> intagliandola tra le rocce a picco delle nelle gole di Kazan. Della strada, inghiottita dalle acque dopo la costruzione della diga nel 1973, nulla è più visibile se non qualche breve tratto; la stessa Tabula Traiana, originariamente posta lungo il percorso, è stata salvata dall'innalzamento del livello delle acque solo grazie al sollevamento, per 20 metri, dell'imponente blocco di roccia in cui era ricavata insieme 7,5 metri della strada romana su cui essa sorgeva.<ref name = Pavolovič>Per le fotografie e i dettagli del salvataggio di questo e di altri reperti, si veda: Dobroslav St. Pavolovič. Nouvelle étape dans la recherche et la sauvegarde des monuments de la région des Portes de Fer.</ref>

Per approfondire, vedi la voce Tabula Traiana.

Il canale sul Danubio

Nonostante la sua imponenza, il ponte fu realizzato in un arco di tempo incredibilmente breve; una possibile spiegazione è che il fiume, durante la costruzione, fosse stato deviato per mezzo di qualche opera idraulica, sebbene Cassio Dione (II-III secolo) escluda ad esempio una simile possibilità.<ref name = DioneCassioLXVIII>Cassio Dione, Storia romana, libro lxviii, 18 (in traduzione inglese su LacusCurtius).</ref> Il più tardo Procopio (VI secolo) fa invece un chiaro riferimento alla deviazione del fiume, anche se collegandola alla navigazione e non alla costruzione del ponte, argomento sul quale dichiara di non volersi soffermare, vista la disponibilità a quel tempo di un esteso trattato di Apollodoro, per noi invece perduto. In ogni caso, quella che in passato era solo un'ipotesi, sembra riaffacciarsi grazie ad un'epigrafe<ref>Шаблон:AE, pubblicata da Petar Petrovič in Saopštenja, Belgrado, 1969, VIII, p.51 e segg. L'iscrizione, rinvenuta nel 1969 durante l'escavazione di d'argilla per il riempimento della diga, è citata in Colin M. Wells, L'impero romano, Bologna, Il Mulino, 1995. ISBN 88-15-04756-5, p. 220, e in Jaroslav Šašel, Trajan's Canal at the Iron Gate, "The Journal of Roman Studies", Vol. 63, 1973 (1973), pp. 80-85. </ref> che fornisce la prova documentale definitiva della realizzazione del canale. L'iscrizione così recita:

IMP CAESAR DIVI NERVAE F / NERVA TRAIANVS AVG GERM / PONT MAX TRIB POT V P P COS IIII / OB PERICVLVM CATARACTARVM / DERIVATO FLVMINE TVTAM DA / NVVI NAVIGATIONEM FECIT «[...] Traiano [...] deviato il fiume a causa del pericolo delle cateratte rese sicura la navigazione sul Danubio».

Si tratta del più antico documento sulla navigazione nel canale, attualmente detto di Sip, in un tratto del Danubio a quel tempo ben noto per le sue insidie.

Distruzione ed erosione: ciò che resta del ponte

Cassio Dione ci informa che la costruzione del ponte era finalizzata unicamente alla campagna bellica di Traiano. Già Adriano, succeduto a Traiano, ne avrebbe rimossa la sovrastruttura, ritenendolo un punto di debolezza del limes danubiano-carpatico. Questa circostanza non impedì allo scrittore di esprimere la sua ammirazione per la grandiosità dell'opera ingegneristica; anzi, la stessa limitata fruibilità del ponte, testimonierebbe agli occhi dello scrittore la grandezza del disegno di Traiano, che pare qui quasi unicamente interessato a dimostrare l'impossibilità di porre limiti all'umana ingegnosità.

Non si conoscono esattamente le cause che portarono alla sua definitiva rovina. Il ponte finì distrutto da Aureliano quando l'impero romano rinunciò alla provincia dacica ritirando le sue forze, oppure, come riporta Procopio, disgregato dall'opera delle correnti e del tempo.

I venti pilastri erano ancora visibili nel 1856, anno in cui il livello del Danubio scese a livelli record. Nel 1906, la Commissione internazionale per il Danubio decise di distruggerne due perché ritenuti di ostacolo alla navigazione.

Nel 1932 sopravvivevano ancora 16 pilastri sotto il livello dell'acqua, ma nel 1982 gli archeologi riuscirono a mapparne solo 12, gli altri quattro essendo stati probabilmente portati via dalla corrente.<ref name = RomanRiseFromTheWaters>Romans Rise from the Waters.</ref>

È rimasto invece irrealizzato quel progetto di parziale ricostruzione che fu concepito, negli anni a cavallo tra i sessanta e i settanta, all'interno di un vasto quadro di interventi di salvataggio e valorizzazione delle vestigia avviato in tutta l'area destinata ad essere sommersa dalle acque dell'invaso.

Nel 2003 si è assistita ad una resipiscenza dell'interesse archeologico: nel mese di settembre di quell'anno sono state condotte indagini e prospezioni subacquee che hanno rivelato e filmato, sul fondo del fiume, la sopravvivenza di 7 degli originali pilastri, una delle cui basi è apparsa rivestita di lastre incise.

Sulla terraferma sono ora visibili i soli piloni di ingresso su ciascuna delle sponde del Danubio.

Approfondimenti

  • Colin O'Connor, Roman Bridges. CUP, 1994, ISBN 0-521-39326-4

Note

Voci correlate

  • Conquista della Dacia

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