Zemzem (زمزم) è il nome di una fonte sacra nelle immediate adiacenze della Kaʿba di Mecca. Essa prende il suo nome dalla radice geminata araba <z-m-z-m>, che significa "inghiottire a piccoli sorsi".
Le fonti - come gli alberi o le sopraelevazioni naturali - erano presenze assolutamente rare negli ambienti semi-aridi o aridi della Penisola Arabica della Jāhiliyya e, come tali, oggetto di venerazione accompagnata da accentuato timore reverenziale.
Tale venerazione si esprimeva non verso gli oggetti o le cose in quanto tali, perché si riteneva che essi non fossero altro che la temporanea residenza terrena delle divinità che, per non annichilire i devoti con la loro "terribilità", assumevano forme non aliene e familiari agli uomini. Queste erano appunto quelle di oggetti naturali, per quanto rari, così come eccezionale era talora ritenuta dagli spiriti religiosi qualche pietra, vuoi per la sua speciale forma vuoi per il suo particolare colore. Tutto ciò veniva pertanto destinato a un culto che non potrà essere definito litolatrico ma semplicemente espressione di un polidemonismo che, più specificamente nel caso arabo pre-islamico, gli storici delle religioni definiscono enoteismo.
Ecco perché, nel Hijāz pre-islamico, si adorava la dea al-ʿUzzà sotto forma di tre acacie (samūrāt ) che sorgevano nell'oasi di Nakhla. Ecco perché Manāt si mostrava a Mushallal, presso Yathrib, come una grande roccia bianca e perché l'ultima divinità della triade higiazena della Jāhiliyya, al-Lāt/Allāt, era visibile a Tāʾif, anch'essa sotto l'aspetto di un grande masso bianco squadrato, mentre Hubal - che pure era un idolo antropomorfico - aveva accanto a sé una fonte: quella di Zemzem, appunto.
Zemzem subisce ancor oggi un processo d'infiltrazione di acque marine, dal momento che poco distante sorge il porto di Jedda (Judda in arabo), che costituisce l'approdo naturale della città di Mecca. Il sapore dell'acqua, per quanto potabile, è amarognolo ma i musulmani ritengono la sua acqua dotata di caratteristiche eccezionali e, talora, miracolose.
È questo il motivo per il quale, tanto nel hajj quanto nella ʿumra, i pellegrini si abbeverano con abbondanza entusiastica alla fonte sacra e perché ne portino via con sé l'acqua rinchiusa in fiaschette da conservare o da consumare all'occorrenza.
La fonte è chiamata anche "il pozzo di Ismaele" perché si crede che essa sia miracolosamente scaturita per intervento angelico al fine di consentire a una disperata Hāgar di abbeverare l'assetato figlioletto Ismāʿīl in un ambiente del tutto privo d'acqua.
Essa sarebbe stata usata nella Jāhiliyya come deposito del tesoro della Kaʿba e al suo fondo ʿAbd al-Muṭṭalib, il nonno del profeta dell'Islam Muhammad, avrebbe trovato due gazzelle d'oro e alcune spade famose, di fabbricazione indiana, e alcune corazze. Con le lame egli avrebbe allora fatto costruire la porta della Kaʿba che poi avrebbe fatto coprire con l'oro delle gazzelle.
Legato a Zemzem era l'istituto cittadino della siqāya, destinato ad abbeverare i pellegrini non meccani in visita a Mecca ma è quasi certo che l'acqua fosse "addolcita" con lo zibibbo di Tāʾif, con datteri o con miele che, fermentando, originava la bevanda blandamente alcolica detta nabīdh, grandemente gradita dai suoi consumatori prima di essere anch'essa vietata dall'Islam, come tutte le altre bevande inebrianti.